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 2024  novembre 10 Domenica calendario

L’intelligenza artificiale prova a diventare intelligenza editoriale

Il fenomeno è iniziato già nel 2023 ma ha assunto evidenza a partire dalla Fiera di Francoforte di quest’anno. È di questi giorni la notizia che per l’editoria tedesca sta per arrivare un servizio, gestito con l’intelligenza artificiale, che dovrebbe consentire a un editore di prevedere le vendite di un libro con una precisione dell’85% che, per determinati settori editoriali, potrebbe arrivare al 99%. Insomma sarebbe la morte della magia degli editor e di quell’imponderabile che è il bello del settore editoriale. Uno dei rari casi dove l’impresa si contamina con l’arte. Abbiamo approfittato di quest’annuncio che potrebbe essere epocale per fare il punto sull’utilizzo dell’Ia nell’editoria italiana, chiacchierando con alcuni dei protagonisti del settore. Partiamo proprio dal tema della ricerca del bestseller a colpi di Ia e da due figure editoriali di altissimo livello come Cristina Prasso (Astoria) e Massimo Cacciari (Adelphi).
Ci dice Cristina Prasso – riservatissima signora dei bestseller, che è stata direttrice editoriale di Nord e oggi lo è di Astoria, e che ha portato al successo la saga dei Florio e La portalettere – a proposito di fiuto editoriale: «A Bennett Cerf, uno dei fondatori di Random House, venne chiesto un titolo per quello che, secondo lui, sarebbe stato sicuramente un bestseller: Il dottore del cane di Lincoln, rispose, perché la combinazione medico + animale + guerra civile era, a suo parere, infallibile. Qualche tempo dopo, uscì proprio un libro con quel titolo e fu manco a dirlo un flop. Fuor di aneddoto: se ci fosse una formula, l’applicherebbero tutti». Quanto all’Ia e al sopracitato programma tedesco: «Quando noi editoriali abbiamo letto di DemandSens, sono certa che abbiamo pensato tutti la stessa cosa e cioè: Magari... e poi ci siamo messi a ridere, perché, in fondo, è come dire: Per favore, Ia, dimmi che due più due fa quattro. Voglio dire che quella valutazione del 95% non può che essere stata fatta a ritroso, cioè sui bestseller del passato... E ha senso pensare che un bestseller degli anni ’30 o degli anni ’70 sarebbe un bestseller anche oggi? In alcuni casi forse sì: a gennaio, Astoria ripubblicherà Il gigante, il bestseller di Edna Ferber uscito nel 1952, che racconta con assoluta, strepitosa precisione le radici umane e sociali del Gigante, cioè del Texas. Ma sono decine i romanzi di enorme successo che hanno tratto forza e significato dal momento in cui sono stati pubblicati e da mille altri fattori contingenti e poi si sono spenti...». E ancora: «Quando Nord ha pubblicato I Leoni di Sicilia non aveva quasi autori italiani nel suo catalogo, non aveva mai pubblicato una saga famigliare e i suoi più grandi bestseller erano stati i romanzi tra storia, scienza e mistero di Glenn Cooper. Come avrebbe potuto, l’intelligenza artificiale, indirizzare questa casa editrice verso la storia dei Florio?».
L’idea di un software per pronosticare un bestseller non è nemmeno nelle corde del filosofo Massimo Cacciari, da sempre legato all’Adelphi: «Mi pare una stupidata totale. Non esiste il bestseller, perché non si può comparare un libro della collana di filosofia Adelphi a un romanzo diMondadori o a un instant book. Ogni genere ha il suo bestseller: per esempio, per un libro di filosofia vendere mille copie è un successo...». Ulteriore problema: «È semplice: se c’è un cervello artificiale a cui chiedere i criteri secondo cui pubblicare un libro, quel cervello non dirà mai di pubblicare un libro di filosofia, di scienze economiche o giuridiche, o di poesia, ma soltanto di letteratura. È proprio ridicola l’impostazione. Ed è come dire: eliminiamo l’editore. Solo se un editore non sa e non è
in grado di decidere per conto proprio, allora chiede alla macchina». Chiaro che per Cacciari non sia così: «Non farei questo mestiere... Al massimo la macchina può essere un aiuto nello scegliere un libro, un po’ come un collaboratore tecnico, che dia un consiglio».
La riflessione non è solo dei singoli: già dal 2023 l’Associazione italiana editori (Aie) organizza corsi sull’intelligenza artificiale. Ne abbiamo parlato con Cristina Mussinelli, responsabile delle nuove tecnologie Aie. «Abbiamo fatto due seminari internazionali perché ci sono dei ragionamenti da fare anche sull’implementazione del regolamento europeo sull’uso dell’intelligenza artificiale. Gli editori devono sapere che con determinate licenze i loro contenuti addestrano l’Ia e con altre licenze no». Quanto agli strumenti specifici per l’editoria: «Ci sono delle funzionalità verticali, con alcuni tool come la correzione dei testi e le traduzioni. Questi sono già usati, come Corrige. Altri sono in arrivo, come quello tedesco che usa i big data e l’intelligenza artificiale...». Al momento gli umani restano «ma gli editori fanno molta richiesta per i corsi, perché ormai per la filiera produttiva è una realtà importante. Abbiamo all’interno dell’associazione un tavolo per l’innovazione, il cui presidente è Andrea Angiolini, direttore editoriale del Mulino».
E infatti Angiolini, parlando anche da editor ci dice che «gli obiettivi sono due: da un lato tutelare il copyright e dall’altro sperimentare queste tecnologie, in modo controllato». Per esempio, «il Mulino ha tre piattaforme digitali rivolte all’università e su Rivisteweb usiamo l’Ia non generativa per fornire suggerimenti di lettura». Si sperimenta anche con l’Ia generativa: «Fra poco sarà anche in vigore il Digital Accessibility Act, che richiede descrizioni alternative per le immagini nei testi: stiamo cercando di usare l’Ia per produrre queste descrizioni». Questo tipo di lavoro «è un rischio, sia per l’autore, sia per l’editore – spiega Angiolini – Quindi bisogna darsi delle regole, che per noi sono: la trasparenza, ovvero se si usa l’Ia bisogna dirlo; la responsabilità; la supervisione. C’è una forma di ancillarità: puoi usare l’Ia per una parte del libro o per degli elementi di contorno, ma l’autore principale è, appunto, l’autore. E l’autore deve essere un umano. Poi un domani chissà». Restano i moltissimi contributi che arrivano dall’Ia: «Nella scrittura, nella bibliografia, nel lessico, per gli apparati o per strutturare l’ossatura di un testo. Dalla creatività all’operatività sui testi, ogni parte di prodotto editoriale può essere soggetta di suo all’Ia ma sta a noi assumere la responsabilità e la supervisione nel corso di queste sperimentazioni; e resta, alla fine, quella che inglesi definiscono la prova del budino: è buono o no?». Quanto alla macchina che prevede il bestseller, nota Angiolini: «I libri interessanti in fondo sono tutti dei prototipi. Nessuna macchina avrebbe pubblicato Allegro ma non troppo, che contiene Le leggi fondamentali della stupidità umana di Carlo M. Cipolla e che è il nostro maggiore successo: perché era inaspettato e non aveva alter ego».
Se invece ci spostiamo a livello di direzione editoriale, in Italia c’è un editore che ha avuto un grandissimo fiuto per azzeccare bestseller: Raffaello Avanzini, amministratoredelegato di Newton Compton, che ad un certo punto in un articolo de l’Espresso venne addirittura citato come «l’uomo che vendeva troppo». Chiosa: «Si dice che sono bravo ad azzeccare cosa vendere ma sono fortunato... Ora come ora, l’Ia è embrionale. Secondo me può essere usata per le idee grafiche delle copertine... Ma poi comunque ci vuole l’illustratore. Traduzioni e correzione del testo...rischiano di farti fare più fatica che altro. Quanto a quello che vende... O hai la percezione di quello che può vendereo non ce l’hai. Bisogna conoscere la filiera merceologica,quella dell’editoria è complessa. Bisogna avere curiosità, capire i gusti delle persone, soprattutto per la letteratura di
genere. I miei editoriali ed io andiamo a intuito. Al massimo l’intelligenza artificiale può aiutare nell’analisi dei venduti, delle vendite per età... Ma la percezione sul romanzo no, per ora l’Ia non ce l’ha. Magari tra 10 anni sarà diversa».
Marco Rana ha una lunga esperienza in ambito editoriale (Rizzoli, Utet, Einaudi, Mondadori...) che lo ha portato a iniziare un anno fa l’avventura da publisher, con Chiara Reali, di Neon, marchio di e/o (l’editore della nostra bestsellerista internazionale, Elena Ferrante). «Credo che l’editoria sia un mestiere profondamente umano – dice – Io mi occupo di narrativa di genere, rifiutando le categorie di alto e basso, che con le nuove generazioni trovano il tempo che trovano. Eppure non credo che di fronte al grande romanzo del premio Nobel l’Ia non trovi parole, mentre possa elaborare risposte affidabili per un romanzo commerciale o di intrattenimento: anche quest’ultimo infatti si basa sull’istanza umana di riconoscersi nella parola scritta. Quindi, astraendomi dal romanticismo, cinicamente potrei dire: magari esistesse un software del genere. Non ci si affaticherebbe tutti quanti». Invece secondo Rana l’Ia può avere altre applicazioni più specifiche: «In caso di contenuti già esistenti e che abbiano già ricevuto dei feedback, un modello che scomponga questi feedback in parametri per espandere poi un giudizio su eventuali possibilità di successo non mi sembrerebbe velleitario». Per Neon, che lavora sull’interazione con un pubblico di lettrici giovanissimi e fortissime («80-100 libri l’anno»), l’Ia potrebbe anche servire «per osservare e raccogliere reazioni e informazioni in modo più esaustivo e trarre indicazioni su tendenze o libri che ricevono molte attenzioni: un lavoro di raccolta e processo delle informazioni che per noi è un impegno gravoso e infinito».
Racconta la sua esperienza Giuseppe Favi, editor che ha lavorato al Saggiatore e a Ippocampo e ora è a Terre di Mezzo: «Ho partecipato a un corso in cui hanno provato a insegnarci delle applicazioni di ChatGpt all’editing, che però non funzionavano assolutamente. Banalmente perché ChatGpt produce dei testi molto standardizzati, non è in grado ancora di cogliere le sottigliezze di cui si occupa un editor. In un certo senso al momento è l’Ia ad aver bisogno di un editor, e non l’editor ad aver bisogno dell’Ia». Ci sono anche autori che scendono sul terreno del «nemico», come Luigi Barnaba Frigoli che ha addirittura scritto un romanzo avvalendosi di ChatGpt: Il terzo Grimm (Rizzoli). Nel libro l’Ia è stata utilizzata per dar vita ad un singolo personaggio demoniaco e alle fiabe che racconta, dichiarandolo al lettore. Ci racconta Frigoli: «In realtà l’esperimento è nato per caso. Volevo raccontare Ferdinand Grimm, il fratello maledetto dei due famosi autori di favole e scrittore anche lui. In quel periodo si parlava di ChatGpt come di qualcosa che ci avrebbe cambiato la vita. Avendo scelto di inserire nel romanzo una sorta di coscienza oscura del personaggio, mi sono detto molti descrivono le Ia quasi come fossero la nostra coscienza oscura. E allora ho deciso di affidare a ChatGpt il ruolo di nemesi. Avevo un demone che rispondeva davvero. Trattandosi di fiabe e leggende sono frutto di umane paure... L’Ia, imbeccata bene, potrebbe incarnarle, sfruttando tutte le cose che legge?». L’esperimento non è stato semplice: «Sono un curioso, non un tecnico. Beh, devi parlarci per ore. Sbattere quello che elabora in pagina nemmeno a pensarci, se vuoi qualcosa di buono. Un lavoro mostruoso, e non è tutto il libro, sono solo degli inserti. Quindi chi l’ha scritto: l’autore o ChatGpt? Secondo me l’autore...».