il Giornale, 10 novembre 2024
La sinistra pensa al gender, e i poveri votano a destra
Professor Luca Ricolfi, come è possibile che Trump abbia mietuto consensi anche tra ceti popolari e minoranze che sembravano un patrimonio dei Democratici?
«In realtà il grande scambio di elettorati fra destra e sinistra quello che io chiamo il grande swap risale a qualche decennio fa, come ha lucidamente ricordato in questi giorni Fausto Bertinotti. E questo vale in quasi tutte le società avanzate. È la sinistra ufficiale che continua a credere che i ceti popolari le appartengano di diritto, ma è solo una fiaba autorassicurante, che non ha alcun riscontro nella realtà. Quanto alle ragioni per cui i ceti deboli votano a destra, non ve n’è una sola».
E quali sono?
«Ne ricorderò solo alcune. Primo, la sinistra ha creduto ciecamente nella globalizzazione, la destra no, e sappiamo tutti che la globalizzazione ha inferto un colpo durissimo ai ceti popolari. Secondo, la sinistra si occupa più di diritti delle minoranze sessuali che dei problemi economici dei ceti popolari. Terzo, una parte del mondo femminista sta cominciando ad astenersi, o addirittura a votare conservatore, perché non condivide le follie dell’ideologia gender, i cambi di sesso precoci degli adolescenti, la pratica dell’utero in affitto. Quarto, la sinistra nega il problema della sicurezza e dell’immigrazione, mentre i ceti bassi lo considerano una priorità. Quinto, una parte degli immigrati, legali e ormai integrati, non vede di buon occhio gli immigrati irregolari perché li considera pericolosi concorrenti, che possono spingere in basso le retribuzioni. E poi c’è una ragione apparentemente sottile,ma in realtà importantissima, che raramente viene presa in considerazione: ai ceti popolari, che non maneggiano bene le sottigliezze del follemente corretto e hanno idee politiche semplici, non piace essere considerati la pancia del paese, come immancabilmente li descrivono i politici e gli opinionisti progressisti».
Se i Dem oltreoceano hanno qualche problema, in Italia la sinistra appare ormai scollata dal suo bacino elettorale storico. Quando e perché i progressisti nostrani hanno perso l’appeal su poveri e lavoratori?
«A occhio e croce, direi da quando, nei primi anni ’90, è comparsa la figura dell’operaio con doppia tessera, della Cgil in fabbrica e della Lega fuori. Quanto al perché, credo che una causa remota, e per così dire oggettiva, sia la storica sconfitta della classe operaia nel 1980 (marcia dei 40 mila), con la successiva lenta ma inesorabile estinzione degli operai come categoria di massa. Ma l’altra causa, soggettiva in quanto puramente politica, è la scelta della sinistra post-Muro di Berlino di sostituire la coppia eguaglianza-diseguaglianza con la coppia inclusione-esclusione, una svolta severamente criticata da Norberto Bobbio: il dirittismo uccide la lotta di classe».
I flop alle urne e l’incapacità di intercettare i ceti popolari sono un frutto della scelta della sinistra di cambiare agenda e privilegiare teoria gender, temi inclusivi, impegno climatico e politically correct rispetto alle tradizionali istanze di giustizia economica e sociale?
«Sì, è proprio andata così, aggiungerei solo la cocciutaggine nel negare i problemi della sicurezza e dell’immigrazione, una postura (autolesionistica) per cui la sinistra deve ringraziare anche la Chiesa cattolica, straordinaria, instancabile, imbattibile fucina di qualunquismo migratorio».
Il centrosinistra che in Italia tifava per l’elezione della prima presidente donna negli Usa ha avuto un brusco risveglio: Schlein parla di brutta notizia per l’Europa e per l’Italia. Secondo lei a sinistra si può imparare qualcosa dall’elezione di Trump?
«Lo escludo. Il peccato originale della sinistra è il complesso di superiorità morale, un disturbo di personalità che descrivevo già un quarto di secolo fa in Perché siamo antipatici? L’elezione dell’impresentabile Trump non può che rafforzare, nel popolo di sinistra e soprattutto nei suoi dirigenti, la convinzione di essere diversi, e ovviamente migliori».
A proposito di «follemente corretto», per citare il titolo del suo ultimo libro: è possibile che sull’altare della teoria gender la sinistra in Italia rischi di sacrificare anni di battaglie femministe?
«No, non è un rischio: è una realtà. Una parte del mondo femminista ha già preso commiato dalla sinistra, fin dai tempi del Ddl Zan, quando comandava Letta. E da allora, grazie all’adesione acritica del Pd alle rivendicazioni trans, l’emorragia non ha mai dato segni di volersi fermare».
La «sinistra Ztl» è diventata ormai un fenomeno mondiale?
«Nei paesi comunisti e in quelli del terzo mondo non saprei, ma nell’occidente capitalista e democratico direi proprio di sì, se per sinistra Ztl intendiamo più che solo e sempre quella dei centri storici le porzioni delle grandi città in cui vivono i ricchi, da sempre propensi a segregarsi in zone sicure, al riparo dalla criminalità comune».