la Repubblica, 10 novembre 2024
Così è stato pianificato l’attacco di Amsterdam
«Israele, stato di apartheid, genocidio e oppressione, la storia si ripete, ma il mondo resta in silenzio». Una canzone di Appa, rapper olandese nato in una strada come questa, suona in un sabato umido e silenzioso. Nella moschea di El Hijra, quartiere di Geuzenveld, gli operai fanno su e giù con dei pesanti mattoni: ristrutturazione in corso. Due ragazzini assistono allo spettacolo, appoggiati a uno scooter grigio parcheggiato sul marciapiede davanti a una casa a due piani. Ci sono quattro balconi, su due sono esposti bandiere della Palestina. Le bandiere sono centinaia qui attorno, una finestra su tre ce l’ha. Dicono che no, loro non c’erano l’altra notte in piazza Dam, ma magari avrebbero anche potuto esserci. Mostrano sul telefonino i video di quello che è accaduto ad Amsterdam nelle ore precedenti: i vessilli palestinesi bruciati, i cori contro i bambini di Gaza, l’inno spagnolo fischiato.
I video sono tutti caricati sul profilo di Rachid El Ghazaoui, detto Appa, che come rapper ha un certo seguito, soprattutto da queste parti, e un curriculum non edificante: Appa è considerato uno dei cantori dell’odio contro Israele, accusato di antisemitismo per dichiarazioni e testi delle sue canzoni che arrivano anche a negare l’Olocausto. Nella notte nera di Amsterdam, Appa è stato forse uno di quelli che ha spento la luce. Questo per lo meno sostiene lo Shin Bet – come raccontato ieri da Repubblica – che aveva avvisato la polizia olandese di possibili scontri. Indicando proprio il giovane musicista, che già era stato coinvolto in polemiche nei mesi scorsi, come uno dei principali pericoli. Leggendo le sue parole si capisce molto di cosa è successo ad Amsterdam, del perché all’improvviso la città forse più tollerante e integrata di Europa si sia svegliata con la caccia all’israeliano.
«Non c’è da sorprendersi», spiega il professor Lorenzo Vidino, tra i principali esperti di islamismo in Europa, che ad Amsterdam ha vissuto e lavorato a lungo. «La comunità marocchina ha sempre rappresentato una pentola a pressione: basta vedere i dati sulla criminalità, c’è un tema di integrazione da una parte e di percezione del pericolo dall’altro. La questione palestinese ha poi saldato quella rabbia delle seconde e terze generazioni con una visione ideologica confessionale e anche politica». Appa parla a loro: a quei ragazzi a cui ha dedicato “Straatfilosoof”, filosofo di strada, una guida per comprendere quei giovani, olandesi sul passaporto, ma trattati da tutti solo come marocchini, anche se nella terra dei loro nonni non sono mai nemmeno stati. Sono quelli che l’altra notte hanno trasformato una miccia in un incendio. I tifosi del Maccabi erano attesi da giorni. I gruppi Pro-Pal sui social avevano chiesto la sospensione della partita con l’Ajax: conoscevano i rapporti ottimi tra le due tifoserie e non volevano i tifosi israeliani per le strade di Amsterdam.
Spuntano manifesti per le strade, cartoline sono fatte girare nelle chat e sui social. «La protesta inizia da dove passeranno la notte. Assicuriamoci che non arrivino nemmeno allo stadio. Indaghiamo su chi li trasporterà», scrivono. E ancora, ironici: «Assicurati che si facciano una notte di sonno». La polizia olandese riesce a intercettare alcune chat Telegram dal contenuto chiaro: «La battaglia è iniziata». «Gaza viene bombardata e noi dobbiamo avere paura del nostro sangue?». «I giovani di Amsterdam contro gli hooligan delle Forze di occupazione israeliana». In realtà c’è chi ha paura. Qualcuno scrive: «Vi prego: non indossiamo simbolo filo-palestinesi ad Amsterdam questa settimana». «Ci sono i teppisti in città».
«È il motivo per cui – ragiona una fonte dell’intelligence – l’antiterrorismo olandese si convince che la temperatura non sia poi così alta e che tutto si potrà gestire». Sbagliano: i tifosi israeliani arrivano, sono 2.500, tantissimi (visto il gemellaggio con l’Ajax) e alcuni si macchiano di provocazioni e gesti di violenza: le bandiere bruciate, l’aggressione a un tassista. È la miccia. Sulle stesse chat da dove si invitava alla calma si organizzano le spedizioni: partono gli scooter dai quartieri a ovest, «la manifestazione Pro-Pal vietata si tiene e per la prima volta vediamo persone incappucciate, pronte a colpire», raccontano ancora dall’intelligence. Su una chat telegram di tassisti di Uber spuntano indicazioni sugli spostamenti degli israeliani dopo la partita, perché si possano colpire. Il resto è cronaca: gli scontri, i tifosi del Maccabi picchiati dopo essere stati costretti a mostrare i passaporti, la caccia all’israeliano per i vicoli della città.
Ieri la sindaca Halsema ha indetto lo stato di emergenza: vietate le manifestazioni, negata la possibilità di girare col volto coperto. La risposta è che oggi alle 14 in piazza Dam i collettivi Pro-Pal hanno convocato una manifestazione. Dicono: «Potrete essere arrestati. Ma venite, abbiamo bisogno di voi».