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 2024  novembre 10 Domenica calendario

Lettera di papa Francesco ai poeti

Cari poeti,
so che avete fame di significato, e per questo riflettete anche su come la fede interroga la vita. Questo «significato» non è riducibile a un concetto, no. È un significato totale che prende poesia, simbolo, sentimenti. Il vero significato non è quello del dizionario: quello è il significato della parola, e la parola è uno strumento di tutto quello che è dentro di noi. Ho amato molti poeti e scrittori nella mia vita, tra i quali ricordo soprattutto Dante, Dostoevskij e altri ancora. Devo anche ringraziare i miei studenti del Colegio de la Inmaculada Concepción di Santa Fe, con i quali ho condiviso le mie letture quando ero giovane e insegnavo letteratura. Le parole degli scrittori mi hanno aiutato a capire me stesso, il mondo, il mio popolo; ma anche ad approfondire il cuore umano, la mia personale vita di fede, e perfino il mio compito pastorale, anche ora in questo ministero. Dunque, la parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino. La poesia è aperta, ti butta da un’altra parte. 
Alla luce di questa esperienza personale, oggi vorrei condividere con voi alcune considerazioni sull’importanza del vostro servizio. 
La prima vorrei esprimerla così: voi siete occhi che guardano e che sognano. Non soltanto guardano, ma anche sognano. Una persona che ha perso la capacità di sognare manca di poesia, e la vita senza poesia non funziona. Noi esseri umani aneliamo a un mondo nuovo che probabilmente non vedremo appieno con i nostri occhi, eppure lo desideriamo, lo cerchiamo, lo sogniamo. Uno scrittore latinoamericano diceva che abbiamo due occhi: uno di carne e l’altro di vetro. Con quello di carne guardiamo ciò che vediamo, con quello di vetro guardiamo ciò che sogniamo. Poveri noi se smettiamo di sognare, poveri noi! 
L’artista è l’uomo che con i suoi occhi guarda e insieme sogna, vede più in profondità, profetizza, annuncia un modo diverso di vedere e capire le cose che sono sotto i nostri occhi. Infatti, la poesia non parla della realtà a partire da princìpi astratti, ma mettendosi in ascolto della realtà stessa: il lavoro, l’amore, la morte, e tutte le piccole grandi cose che riempiono la vita. Il vostro è – per citare Paul Claudel – un «occhio che ascolta». L’arte è un antidoto contro la mentalità del calcolo e dell’uniformità; è una sfida al nostro immaginario, al nostro modo di vedere e capire le cose. E in questo senso lo stesso Vangelo è una sfida artistica. Essa possiede quella carica «rivoluzionaria», che voi conoscete bene, ed esprimete grazie al vostro genio con una parola che protesta, chiama, grida. Anche la Chiesa ha bisogno della vostra genialità, perché ha bisogno di protestare, chiamare e gridare. 
Vorrei dire però una seconda cosa: voi siete anche la voce delle inquietudini umane. Tante volte le inquietudini sono sepolte nel fondo del cuore. Voi sapete bene che l’ispirazione artistica non è solo confortante, ma anche inquietante, perché presenta sia le realtà belle della vita sia quelle tragiche. L’arte è il terreno fertile nel quale si esprimono le «opposizioni polari» della realtà – come le chiamava Romano Guardini —, le quali richiedono sempre un linguaggio creativo e non rigido, capace di veicolare messaggi e visioni potenti. Per esempio, pensiamo a quando Dostoevskij nei Fratelli Karamazov racconta di un bambino, piccolo, figlio di una serva, che lancia una pietra e colpisce la zampa di uno dei cani del padrone. Allora il padrone aizza tutti i cani contro il bambino. Lui scappa e prova a salvarsi dalla furia del branco, ma finisce per essere sbranato sotto gli occhi soddisfatti del generale e quelli disperati della madre. Questa scena ha una potenza artistica e politica tremenda: parla della realtà di ieri e di oggi, delle guerre, dei conflitti sociali, dei nostri egoismi personali. Per citare soltanto un brano poetico che ci interpella. 
E non mi riferisco solamente alla critica sociale che c’è in quel brano. Parlo delle tensioni dell’anima, della complessità delle decisioni, della contraddittorietà dell’esistenza. Ci sono cose nella vita che, a volte, non riusciamo neanche a comprendere o per le quali non troviamo le parole adeguate: questo è il vostro terreno fertile, il vostro campo di azione. E questo è anche il luogo dove spesso si fa esperienza di Dio. Un’esperienza che è sempre «debordante»: tu non puoi prenderla, la senti e va oltre; è sempre debordante, l’esperienza di Dio, come una vasca dove cade l’acqua di continuo e, dopo un po’, si riempie e l’acqua straripa, deborda. 
È quello che vorrei chiedere oggi anche a voi: andare oltre i bordi chiusi e definiti, essere creativi, senza addomesticare le vostre inquietudini e quelle dell’umanità. Ho paura di questo processo di addomesticamento, perché toglie la creatività, toglie la poesia. Con la parola della poesia, raccogliete gli inquieti desideri che abitano il cuore dell’uomo, perché non si raffreddino e non si spengano. Questa opera permette allo Spirito di agire, di creare armonia dentro le tensioni e le contraddizioni della vita umana, di tenere acceso il fuoco delle passioni buone e di contribuire alla crescita della bellezza in tutte le sue forme, quella bellezza che si esprime proprio attraverso la ricchezza delle arti. 
Questo è il vostro lavoro di poeti: dare vita, dare corpo, dare parola a tutto ciò che l’essere umano vive, sente, sogna, soffre, creando armonia e bellezza. È un lavoro che può anche aiutarci a comprendere meglio Dio come grande «poeta» dell’umanità. Vi criticheranno? Va bene, portate il peso della critica, cercando anche di imparare dalla critica. Ma comunque non smettete di essere originali, creativi. Non perdete lo stupore di essere vivi. 
Dunque: occhi che sognano, voci delle inquietudini umane; e perciò voi avete anche una grande responsabilità. E qual è? È la terza cosa che vorrei dirvi: siete tra coloro che plasmano la nostra immaginazione. Il vostro lavoro ha una conseguenza sull’immaginazione spirituale delle persone del nostro tempo. E oggi abbiamo bisogno della genialità di un linguaggio nuovo, di storie e immagini potenti. 
Io pure sento, vi confesso, il bisogno di poeti capaci di gridare al mondo il messaggio evangelico, di farci vedere Gesù, farcelo toccare, farcelo sentire immediatamente vicino, consegnarcelo come realtà viva, e farci cogliere la bellezza della sua promessa. La vostra opera ci può aiutare a guarire la nostra immaginazione da tutto ciò che ne oscura il volto o, ancor peggio, da tutto ciò che vuole addomesticarlo. Addomesticare il volto di Cristo, mettendolo dentro una cornice e appendendolo al muro, significa distruggere la sua immagine. La sua promessa invece aiuta la nostra immaginazione: ci aiuta a immaginare in modo nuovo la nostra vita, la nostra storia e il nostro futuro. E qui torno a ricordare un altro capolavoro di Dostoevskij, piccolo ma che ha dentro tutte queste cose: le Memorie dal sottosuolo. Lì dentro ci sono tutta la grandezza dell’umanità e tutti i dolori dell’umanità, tutte le miserie, insieme. Questa è la strada. 
Cari poeti, grazie per il vostro servizio. Continuate a sognare, a inquietarvi, a immaginare parole e visioni che ci aiutino a leggere il mistero della vita umana e orientino le nostre società verso la bellezza e la fraternità universale. Aiutateci ad aprire la nostra immaginazione perché essa superi gli angusti confini dell’io, e si apra alla realtà tutta intera, nella pluralità delle sue sfaccettature: così sarà disponibile ad aprirsi anche al mistero santo di Dio. Andate avanti, senza stancarvi, con creatività e coraggio!
Vi benedico.