Corriere della Sera, 10 novembre 2024
Andiamo a prendere gli immigrati che vogliamo noi
Il ministro del Lavoro e degli Affari sociali Marina Calderone in settimana era a Tunisi per un’operazione che risponde a una delle esigenze più sentite e pubblicamente meno discusse: formare all’estero, portare in Italia e integrare nelle imprese migliaia di giovani di Paesi emergenti.
Ministro, che iniziativa state sostenendo a Tunisi?
«Abbiamo contribuito a far partire i corsi nel centro tunisino di Ibn Sina, che formerà in loco circa duemila ragazze e ragazzi in un triennio nel settore delle costruzioni, in vista dell’integrazione successiva nel tessuto economico italiano. Possiamo farlo, naturalmente, grazie alle nostre buone relazioni con il governo di Tunisi, che ci permettono di gestire insieme un certo numero di progetti. Questi giovani, dopo un periodo di formazione non lungo ma mirato alle competenze professionali, a quelle linguistiche e all’educazione civica, verranno impiegati presso aziende in Italia».
Chi finanzia il progetto?
«La Commissione europea con il contributo del ministero dell’Interno ed è realizzato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) con l’Ance, l’Associazione nazionale costruttori edili, Elis e Formedil».
Sono permessi all’interno delle quote di 150 mila ingressi all’anno del decreto flussi?
«No, sono supplementari. In linea con il Piano Mattei, chi riceve una formazione finalizzata nel proprio Paese, in cooperazione con entità italiane, può ricevere permessi al di fuori delle quote».
Il programma si chiama «Thamm Plus». Ma questo della Tunisia è destinato a restare un caso unico, con questi numeri?
«Direi proprio di no. Il Thamm Plus prevede anche la formazione in Marocco di 500 addetti della meccatronica da inserire in aziende della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia-Romagna. C’è l’intesa per formare nei prossimi tre anni ulteriori mille lavoratori tunisini, sulla base della mappatura delle esigenze del mondo delle nostre imprese. E ci sono altre iniziative che si stanno avviando con associazioni di categoria, agenzie per il lavoro e imprese del Maghreb».
Riprodurrete lo stesso modello in altri Paesi?
«La Commissione interministeriale ha già approvato percorsi simili in dieci Paesi, oltre alla Tunisia: Albania, Bangladesh, Egitto, Ghana, Giordania, Filippine, Uganda, Etiopia, Perù e Marocco. I progetti prevedono complessivamente di formare poco più di 3.500 lavoratori in diversi settori, in più rispetto a quelli previsti dalle quote di immigrazione regolare».
Può bastare rispetto alla domanda di manodopera delle imprese?
«Lo vedremo con il tempo. Noi stiamo promuovendo, anche insieme alla Banca Mondiale con la Global Skill Partnership, opportunità di lavoro nei vari ambiti che poi sono quelli in cui noi abbiamo una maggiore necessità di reperire mano d’opera qualificata. Al Forum su questi temi che abbiamo tenuto a Tunisi hanno partecipato Confindustria, Confagricoltura, Coldiretti, Assolavoro, la Confederazione nazionale degli artigiani, Federalberghi, imprese come Fincantieri e agenzie per il lavoro. Al termine, ci sono arrivate altre proposte che vanno nella stessa direzione: creare un canale di immigrazione qualificata attraverso la formazione nei Paesi d’origine, con reciproco vantaggio nostro e loro»