Corriere della Sera, 10 novembre 2024
Tremila lettere a Giulia Cecchettin
«Giulia, Giulia cara...».
«Giulia, proteggimi».
«Non dormo più da giorni...».
«Giulia, grazie per avermi dato una forza che non pensavo di avere».
L’angoscia collettivaGiulia Cecchettin moriva un anno fa, l’Italia non lo sapeva ancora. Una foto, una delle prime diffuse dai siti di informazione all’indomani della sua sparizione, avvenuta l’11 novembre, la ritraeva seduta, sorridente, su uno dei carrelli dell’Ikea: minuta, le calze nere, una giacca bordeaux slacciata, il basco in testa. Che ne era di lei? Cosa le aveva fatto quel suo ex ragazzo? Un testimone, di notte, aveva udito in un parcheggio delle urla. Un’auto era in fuga. Nel giro di poche ore gli occhi sottili, dolci di Giulia erano ovunque: in tv, sugli smartphone. Chi poteva farle del male? L’attesa si era fatta collettiva: l’angoscia della famiglia Cecchettin era diventata l’angoscia di tutti. L’Italia l’aspettava: Giulia d’un tratto era diventata la figlia, la sorella, l’amica di tutti.
Giulia, che non c’era già più.
Il suo corpo fu rinvenuto il 18 novembre in un anfratto roccioso tra larici e abeti bianchi sulle montagne di Piancavallo, in Friuli, ricoperto da sacchi neri di plastica. Due giorni prima Giulia si sarebbe dovuta laureare in Ingegneria, a Padova. Era pronta anche la festa.
Scritte a manoCosa è successo da allora è qualcosa che attiene all’anima del Paese, un tumulto intimo e profondo. Non il furore dei social, non le manifestazioni, non i servizi delle televisioni. È successo che in migliaia hanno iniziato a scrivere a quella ragazza minuta, con il basco nero. Da tutta Italia (e anche dall’estero): ragazze, ragazzi, nonne, nonni, giovani, padri, madri. Lettere: scritte a mano, affrancate, spedite, secondo un rituale ormai quasi dimenticato. Chi scrive a mano, oggi? A casa Cecchettin le buste le portava quotidianamente il postino di Vigonovo: venti, trenta al giorno. Così per settimane. Un ribollire di umanità mai visto prima, che nel giro di qualche mese ha riempito quasi interamente la cameretta di Giulia. Per un anno, papà Gino, con l’aiuto di alcuni volontari, ha pazientemente riordinato e inscatolato quel tesoro. Un gesto sofferto – le mattine sono ancora piene di lacrime —; ma così prezioso, che ci concede, oggi, non solo di capire come Giulia sia entrata nei cuori. Ma anche di cogliere il seme che lei ha lasciato.
«Ho preso un B&B»Gino qualche giorno fa ci ha aperto le porte di casa e in occasione dell’anniversario della morte di Giulia, ha permesso per la prima volta che quelle lettere potessero essere consultate (sono oltre 3 mila). È impossibile raccontare tutto quello che c’è là dentro: rabbia, pianti, immedesimazione, consolazione, affetto, sconforto. Ma ci sono anche alcune testimonianze straordinarie, trasmesse silenziosamente, che forse mai sarebbero venute alla luce. Anche di semplice partecipazione. Varrebbe questa, per capire. È datata 3 aprile 2024: «Mi chiamo A.P. nato e cresciuto a Civitavecchia. Giulia mi ha toccato il cuore, mi ha sconvolto. Non so dire il perché. Sono insegnante di scuola guida, faccio 50 anni. Non sono sposato, né fidanzato e non ho figli. Mi sono ripromesso fin dall’inizio della vicenda che sarei arrivato fino a Vigonovo per portare fiori al cimitero. E così ho fatto, in macchina. Mi sono preso ferie, ho dormito in un B&B lì a Vigonovo. Ognuno di noi svolge la vita in funzione di qualcosa. Io sono stato felice di aver portato i fiori sulla tomba di Giulia».
«Mi hai salvata»Quante donne, quante ragazze che si sono sentite sorelle. Carolina: «Vorrei che vedessi – e so che lo vedi – la rivoluzione che hai scatenato. Ti stai accingendo a cambiare davvero le cose, lo sai? Hai una marea di sorelle acquisite che non molleranno la presa, che ricorderanno chi sei e lo urleranno per le strade». Ma in quel mare di inchiostro ci sono anche tante donne che in Giulia hanno rivisto il proprio vissuto. Uno spaccato tremendo. Roberta in una busta infila solo un biglietto con un grande cuore e lo firma: «Vittima di tentato omicidio». Michelle, 25 anni, da Taranto: «Ho rivisto me stessa in quegli orsacchiotti appesi allo zaino, in quanto purtroppo ho avuto una situazione simile quando avevo appena compiuto 20 anni». Chiara racconta l’ultima estate, al mare: «Una sera sono stata importunata da un uomo di 50 anni davanti alla stanza dell’hotel, non ho dormito tutta la notte, mi sono sentita indifesa, sola e amareggiata. L’ansia mi ha assalito, perché conosco la violenza, perché sono donna. Queste situazioni anche se le racconti per tante persone sembrano normali». Poi c’è Elisa: «Ciao Giulia, non ci siamo mai viste né sentite. Abbiamo una cosa in comune però. Siamo vittime di violenza da parte di un mostro. Quel mostro di cui noi ci siamo fidate e abbiamo voluto bene. Ora tu sei un Angelo e io una sopravvissuta». Ma la più forte di tutte è una lettera infilata in una busta arancione quadrata, decorata con un albero dalle foglie autunnali. A scriverla un’altra Giulia, come uno scherzo del destino. Poche righe, in maiuscolo: «Ti ringrazio perché mi hai salvato la vita. Grazie a te ho trovato la forza di allontanarmi dalla mia storia pericolosa. Anche lui si chiama Filippo. La tua storia è la mia e quella di mille altre donne».
L’agente in servizioÈ una donna anche Maria, che le prime, drammatiche ore della scomparsa di Giulia le vive con la divisa addosso. Proprio su quelle strade. Una testimonianza inattesa, sconvolgente. «Arrivo in comando e trovo un messaggio dei carabinieri di contattarli con urgenza – si legge —. Cercano una targa. Inserisco la targa nel nostro sistema, ma non c’è traccia di passaggio. Faccio la visura e vedo chi è il proprietario: un ragazzo, un nome come tanti. Né io, né i carabinieri sapevamo perché fosse ricercata quella targa. Lo scopriremo solo qualche ora dopo. Alla sera sono stata al cinema a vedere proprio il film C’è ancora domani. Le donne... Dopo aver salutato la mia amica, prima di rientrare ho fatto un giro dei parcheggi del centro commerciale e della stazione. Nessuna traccia. Nessun allarme mentre ero in pattuglia. Nulla, e poi tutto. Ho due figlie adolescenti... A Giulia e a tutti coloro che la amano».
Il seminarista In molti si affidano a Dio, alla preghiera. Un salmo: «Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me». Chi maledice, chi invoca. Poi questa lettera, che tocca il cuore. Matteo, 32 anni, seminarista al quarto anno di Teologia: «Ho desiderato tanto scrivervi – racconta —. La vicenda mi ha molto scosso e interrogato. È per ciò che ho vissuto per molti anni nella mia famiglia: il rapporto impossibile con mio padre, un uomo che molto spesso minacciava mia madre e noi figli, in preda all’alcolismo. La nostra denuncia lo allontanò da noi per sempre, si è spento in solitudine ai domiciliari qualche anno fa. Fino alla sua morte ho sempre vissuto nel terrore che potesse compiere quell’atto che aveva spesso minacciato di fare». Poi rivolto a papà Gino: «Come vorrei chiederti, personalmente, dove trovi la capacità di sperare. Perché a volte fatico ad essere un uomo di speranza, nonostante mi professi cristiano e per di più ben incamminato verso il sacerdozio? La vostra testimonianza è stata e sarà un caro aiuto che mi accompagnerà in questo cammino non sempre facile».
«Potrebbe accadere a ciascuno di noi»Quanti genitori in apprensione, poi, quanti papà e mamme che in Giulia hanno rivisto i propri figli. Carla: «Potrebbe accadere a ciascuno di noi». Gabriele e Zuleika: «Noemi, nostra figlia, che compirà 19 anni, non ha smesso di chiedere di Giulia, di informarsi. Frequenta l’ultimo anno di liceo: è semplice, umile, buona e altruista. Queste sono anime belle e pure che spesso il brutto che c’è in questo mondo vuole portare via, perché proprio la loro unicità le rende rare e preziose. I mostri invidiosi, non risolti e mai stati educati ai no purtroppo esistono e spesso si nascondo sotto le mentite spoglie. Ognuno di noi ha avuto Giulia nella propria casa». Ma ci sono anche genitori che condividono il destino di papà Gino. Le lettere sono piene di strazio. Piero e Pina, 85 e 81 anni, nel 2015 hanno perso la loro Maria uccisa con 44 pugnalate sul luogo di lavoro: «Nelle due ore del funerale di Giulia – scrivono – abbiamo rivissuto tutto, in quella bara vedevamo nostra figlia. Oggi ci siamo fatti una ragione: pensiamo che lei sia in giro per il mondo come tanti figli e un giorno la rivedremo. Per il momento ci consola sognarla. E questo ci rasserena non poco nell’affrontare la tragica realtà della vita contro l’impotenza».
«Una vecchietta» Giulia, la nipote. Nonna Giovanna da Recco, una grafia fragile: «Io non ho WhatsApp e internet, vi sono tanto vicina, ho pianto per voi. Le ragazze e le donne vanno protette, qualcosa deve cambiare». Maria Pia, 84 anni – «quindi una vecchietta, ma vorrei che accettassi questa semplice poesia» —: «Una mano apparentemente affettuosa ma vile e assassina che ha voluto distruggere un amore pregevole». Nonna Maria Letizia: «Anche io ho il mio angelo in paradiso, i nipoti sono figli due volte. Avrei dato la mia vita al posto suo».
Il tormento nelle scuoleE i nostri ragazzi? Pacchi di lettere provengono dalle scuole. La lettura è un termometro della febbre che c’è là dentro. Apriamo una busta proveniente da una classe di Treviso con all’interno decine di biglietti: «La colpa non è tua, non è colpa fidarsi di una persona». «Mi auguro davvero che le cose cambino, che gli uomini capiscano». Gianluca: «Ti chiedo scusa, Giulia». La riflessione di una professoressa di Bari, Gabriella, è un colpo al cuore: «Ho insegnato per quasi 40 anni in una scuola superiore avendo prevalentemente studenti maschi. Nei loro comportamenti di fronte agli insuccessi mai ho visto specie negli ultimi anni comportamenti molto diversi da quelli di Filippo. Mi è venuto da pensare che se non si sono trovati un coltello in mano è per puro caso. Le reazioni alla sconfitta sono spesso violente, anche nei confronti dell’insegnante. Al primo vento contrario i “bravi ragazzi” sono privi di mezzi e risorse per fare fronte alle avversità. Gli studenti migliori sono figli di genitori che serenamente coltivano il dubbio, che osservano e ascoltano, che accolgono, ma che sanno dire dei no».
La promessa di Emanuele, 11 anniEsatto, l’educazione. Con papà Gino raccogliamo le ultime lettere. «Cara Giulia – scrive una coppia – insegneremo ai nostri figli a comportarsi; e non alle ragazze a guardarsi sempre alle spalle». E i genitori di Elias, 5 anni: «Ci sentiamo responsabili di educarlo al rispetto per sé e per gli altri e a riconoscere le proprie emozioni, in modo che non gli tornino indietro come un boomerang impazzito». È la stessa cosa per cui si impegna Emanuele di undici anni, che con un pennarello blu e il corsivo dei bambini scrive un messaggio che vale tutto il sacrificio di Giulia: «Io prometto di non essere mai come Filippo».