Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  novembre 10 Domenica calendario

Prima asta d’arte «robot»

Alla fine è stato venduto per un milione di sterline (cioè 1,2 milioni di euro). Una cifra da record per un dipinto realizzato dall’intelligenza artificiale. Si tratta del ritratto di Alan Turing, il matematico «padre dell’informatica», messo all’asta dalla casa britannica Sotheby’s. 
È un evento a suo modo storico: si tratta della prima vendita al miglior offerente di un’opera d’arte realizzata da un robot umanoide. Sono arrivate 27 offerte per l’opera di Ai-Da, la pittrice artificiale sviluppata dal gallerista britannico Aidan Meller, che ha proposto il suo ritratto di Alan Turing nell’asta Digital Art Day.
Unica nel suo genere (fino a ora), con un prezzo di partenza stimato tra i 110 e i 160 mila euro.Una vittoria per Sotheby’s: questa vendita «lancia una nuova frontiera nel mercato globale dell’arte, stabilendo il punto di riferimento d’asta per un’opera d’arte di un robot umanoide».
Il ritratto di Turing è stato realizzato con tecniche miste, tra tecnologia e passato. Ai-Da utilizza infatti telecamere installate negli occhi e un braccio robotico mosso da algoritmi di intelligenza artificiale. Ma non è un caso isolato: uno degli esempi più significativi è stato, nel 2020, Dark Factory Portraits. Un’asta allestita alla galleria Ben Brown Fine Arts di Londra dai pionieri dell’arte digitale Rob e Nick Carter. L’esposizione presentava Heidi, un braccio robotico industriale prodotto da Kuka, programmato per realizzare ritratti di artisti celebri come Frida Kahlo, Andy Warhol, Yoko Ono e Damien Hirst utilizzando colori acrilici. Il titolo Dark Factories si riferisce ai processi di produzione completamente automatizzati, dove i robot lavorano senza l’intervento umano in spazi bui. Heidi, infatti, opera alla cieca, eseguendo ogni movimento in base a un codice che interpreta l’immagine digitale originale e la traduce in pennellate. 
Nelle edizioni precedenti, migliaia di dipinti sono stati realizzati da centinaia di concorrenti. Quest’anno, i progressi nell’intelligenza artificiale lasciano presagire una partecipazione ancora più ampia, con un numero maggiore di artisti-ricercatori pronti a sfidarsi per creare opere al confine tra la creatività umana e quella meccanica.
Fino a oggi, però, questi esperimenti «innovativi», seppure autorevoli, non avevano incontrato il potere del mercato. L’asta di Sotheby’s segna un punto di svolta, dimostrando come l’arte robotica stia guadagnando un riconoscimento sempre più ampio e spingendo critici e collezionisti a interrogarsi sul suo valore e significato. Alcuni vedono i robot come una mera estensione delle capacità umane, altri li considerano veri agenti creativi, in grado di superare i limiti della (nostra) immaginazione. In entrambi i casi, la questione fondamentale rimane: l’arte prodotta dai robot può essere considerata autentica? E, se sì, chi ne è l’autore: il programmatore, il robot, o entrambi?