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 2024  novembre 10 Domenica calendario

Giulio Tremonti commenta il voto americano

«Non è il cambio di un’amministrazione. È il cambio di un’epoca». Giulio Tremonti oggi è il presidente della commissione Esteri della Camera. Vicepremier e ministro dell’Economia nei governi Berlusconi, ha sempre avuto un punto di vista assai personale. Nel 2008 lo scrisse, in un documento riservato filtrato poi su Wikileaks, anche l’ambasciata Usa di Roma: Tremonti «ha sempre espresso profondi sospetti riguardo ai vantaggi della globalizzazione e una filosofia economica piuttosto eclettica».
Presidente, ma ora che cosa possiamo aspettarci, come europei? 
«Per capire cosa sta succedendo negli Stati Uniti, bisognerebbe rileggere Tocqueville e la sua Democrazia in America. Già allora, aveva individuato il nucleo della democrazia negli Stati centrali, prima ancora del Far West. La sua analisi delle elezioni, concentrata su quegli Stati, resta sorprendentemente attuale». 
In che senso parliamo di un cambio d’epoca? 
«Queste elezioni indicano non la fine della globalizzazione, che continua nella sua dimensione mercantile e tecnologica —il “digito ergo sum” – ma evidentemente segnano la crisi della globalizzazione come utopia. Il momento simbolico è stato il discorso di insediamento di Obama: “Non abbiamo il passato, abbiamo solo il futuro. L’uomo nuovo in un mondo nuovo”. Oggi abbiamo l’impressione che non sia andata così: è il ritorno della storia contro l’ingegneria politica. Certamente chi ne fa le spese sono i Democratici, negli Stati Uniti come in Europa. Ma, appunto, queste non sono state elezioni ordinarie. Non è un cambio di partiti ma un cambio di epoche». 
Lei è sempre stato critico nei confronti della globalizzazione... 
«Nel 1994 scrissi Il fantasma della povertà prevedendo che i capitali sarebbero andati in Asia e la povertà sarebbe venuta in Occidente. Poi è arrivata la crisi dei subprime. La globalizzazione, come ho sempre pensato, è la cosa giusta nel tempo sbagliato. La scansione è: caduta del Muro nel 1989, il Wto nel 1994, la Cina che entra nel 2001, la crisi nel 2008». 
Nel concreto, vedremo le nostre produzioni mitragliate dai dazi?  
«Un grande democratico come il principe di Bismarck diceva: “Non si esagera mai tanto quanto dopo le battute di caccia e durante le campagne elettorali”. Ci può esser qualche variante politica. Detto questo, è chiaro che la sostanza del messaggio elettorale sarà poi applicato nell’attività presidenziale. Tra l’altro, ha in mano, il Senato, il Congresso, tutto quanto. Anche se poi si dovrà capire come si sviluppa nel concreto il rapporto, è vero che gli Usa metteranno i dazi. Ma anche l’Europa li ha. C’è l’Iva sulle importazioni, che è di fatto un dazio permanente su tutte le importazioni, da ovunque provengano. E ha un peso enorme. Questo non vuol dire che i dazi siano giusti – io sarei contrario – ma gli statisti europei dovrebbero tenerne conto nelle trattative. Personalmente, non conosco la differenza tra dazio e Iva». 
E sul fronte del conflitto in Ucraina? 
«Probabilmente si arriverà a una formula tipo Corea: un armistizio, un congelamento del conflitto. È un errore pensare che Putin si fermi. Il suo “Mein Kampf” è che il futuro della Russia è nel passato: religione, anima, tradizione, confini. E noi siamo sui confini. L’Europa vuole l’allargamento a Est, lui l’allargamento a Ovest. Questo pone un’enorme sfida». 
Quale dovrebbe essere la risposta europea? 
«La formula politica credo sia: “All in”. Tutti dentro, i compiti a casa si fanno dopo. Prima vengono l’unità e la difesa. Pensi ai Balcani, un luogo dove si produce più storia di quella che si consuma in loco e quindi la si esporta, come a Sarajevo...». 
E dunque l’Europa che cosa dovrebbe fare? 
«Come diceva Einstein, la soluzione dei problemi non la trovi con le teste che li hanno causati. Per esempio, sulla competitività non è che servano le lezioncine delle grandi società di consulting. La parola chiave è: libertà. La legislazione europea è lunga 392 km lineari e continua ad allungarsi. Guglielmo Marconi oggi finirebbe in galera per violazione del codice delle comunicazioni, del codice della navigazione, anche del codice fiscale. Significa che le élite hanno perso il contatto con il popolo, formulando ipotesi sempre più distanti dalla realtà».