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 2024  novembre 09 Sabato calendario

Il Perugino ritrovato nel cuore di Roma

«L’iconografia è del Perugino. Oggi ne sono più che convinto. Ora che posso studiare, in tutti i dettagli, l’intera costruzione della scena affrescata, vedo la sua mano». Antonio Forcellino, napoletano, 69 anni il 5 dicembre, uno dei più importanti restauratori d’Italia, legato agli interventi sul Trionfo di Galatea di Raffaello e sul Mosè di Michelangelo, e che ha appena pubblicato il suo nuovo volume Dipingere il sogno. Il miracolo dell’arte italiana da Cimabue a Caravaggio (edizioni HarperCollins), parla con l’entusiasmo nella voce. Sorride con gli occhi. Il camice bianco appena impolverato di colore. Si fa cicerone speciale nel cantiere dello straordinario Palazzo Nardini nel cuore di Roma, complesso che affonda le radici nel 400 sotto l’egida del cardinale milanese Stefano Nardini, per poi vivere dieci cento mille vite di fortune e miserie, tra arte, storia e tanta politica italiana (è stato sede della Pretura penale nel 1870, ma anche set di film amato da Fellini, fino alla Casa delle Donne negli anni 70 del Novecento). Siamo in via del Governo Vecchio alle spalle di piazza Navona.
Il suo orgoglio è nell’affresco di oltre sessanta metri quadrati che ha riportato alla luce poco meno di un anno fa. «Non abbiano dubbi, siamo di fronte alla scena tratta dalla Bibbia di Daniele, con Baldassarre l’ultimo re di Babilonia: dopo la conquista di Gerusalemme e il saccheggio del Tempio, osò il massimo oltraggio allestendo un banchetto con il vasellame sacro», racconta Forcellino. Già salito all’onore della cronaca per l’eccezionalità della scoperta, in quello che è uno dei rarissimi edifici sopravvissuti del 400, ora assume nuova luce sulla scia dell’ultima interpretazione. Nel mirabile affresco a monocromo verde («un colore congruo alla dignità cardinalizia, esibiva regalità, ma non ostentava lusso») c’è la mano del raffinato Perugino. «I lavori a Palazzo Nardini si collocano tra il 1477 e il 1480. E Perugino è a Roma. Nel 1479 esegue la cappella dell’Immacolata in Vaticano e nel 1481 è attivo nella Cappella Sistina», indica Forcellino.Tutto riporta a lui. «Il tratto sicuro e violento nelle barbe e nei capelli, e quei giochi di luce. Si trovano solo in un Perugino di questo periodo. Pensiamo al suo San Sebastiano, l’unico datato, al 1478. Il più vicino al nostro affresco. Quarant’anni di lavoro di restauro mi hanno insegnato a cogliere la scrittura di un’opera, i guizzi, la grafia. Qui, a Palazzo Nardini ci sono quelle che chiamo “frecce”, gli angoli acuti disegnati nelle pieghe dei tessuti». Arrampicato sui ponteggi, Forcellino spennella le trame di figure che rendono capolavoro questo tragico banchetto: «Qui c’è tutta una scuola fiorentina, elementi che Perugino matura alla bottega del Verrocchio. E che a Roma trasforma in un equilibrio classicista». Figure di giovani e nature morte, con uno scorcio di vasellame di una modernità estrema: «I piatti non sono semplificati. Qui Perugino rasenta il trompe-l’oeil sporgendoli in bilico, come farà, oltre cento anni dopo, Caravaggio nella sua Cesta con frutta. Mi emoziona questa continuità tra gli artisti». La stessa emozione che Forcellino riporta ora in scrittura: «Il nuovo libro nasce dalle suggestioni del mio lavoro, è una condivisione fisico-amorosa con le opere. Il libro non vuole essere una storia dell’arte, quanto una relazione d’amore, un racconto della ricerca tra i pittori. Perché gli italiani seguono una loro strada. Masaccio guarda a Giotto. Michelangelo guarda a Masaccio...la ricerca è un lungo dialogo familiare. L’ultimo fulmine che stupisce è Caravaggio. Dopo di lui, è tutto un meditate sul passato».
Forcellino, che ha iniziato la sua carriera lavorando sulle opere di Cimabue ad Assisi, allievo dell’Istituto per il Restauro, vuole anche riscoprire Caravaggio, analizzando la Pietà di Ragusa, eseguita per Vittoria Colonna: «Di Caravaggio, nel libro, voglio mettere in evidenza l’aspetto del sogno, la capacità di creare immagini. Lo vedo come Michelangelo. Buonarroti studia il corpo, ma quando lo restituisce, lo modifica in modo irrazionale perché vuole evocare l’emozione. Caravaggio studia la realtà, ma quando la restituisce, la porta ad un livello superiore, in modo da emozionare. Io li trovo molto collegati». Il libro meno specialistico di Forcellino, ma il più emozionale con l’arte. E la scoperta del Perugino a Palazzo Nardini è stata vissuta dallo studioso come un segno. «La mia età pensionabile era di due anni fa – ironizza – ma poi mi hanno chiamato a lavorare a Palazzo Nardini, dove ho potuto intervenire secondo le mie idee, lavorando sulla riscoperta e la conservazione degli intonaci originali. È la bellezza della vecchiaia. Sono stato premiato. In questo affresco di Perugino ho trovato il mio sogno. In fondo, il mio figlio». Per Forcellino, d’altronde, Palazzo Nardini è stata una «respirazione bocca a bocca». Una rianimazione di un edificio destinato a rilanciarsi come futuro spazio museale. L’équipe è al lavoro sui capitelli che puntellano il cortile del XV secolo. E nella sala del Banchetto del Perugino. Siamo in quello che era, all’inizio, l’ingresso loggiato del Palazzo cardinalizio, su via di Parione. Dove spiccano anche le colonne egiziane di Assuan: «Vennero trovate qui vicino e messe in questa sala nel 1630 – racconta Forcellino – Colonne così giganti che ci fanno pensare a chissà quale edificio romano...». Tu chiamale, se vuoi, emozioni.