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 2024  novembre 09 Sabato calendario

Arianna Mihajlovic: ecco com’era Sinisa


Giacca rossa sopra una camicia azzurra, come i suoi occhi e il cielo sopra piazza delle Muse, cuore “pariolino” della Capitale. Ed è qui che Arianna Rapaccioni, la vedova di Sinisa Mihajlovic, decide di incontrarci. Per raccontare la sua vita accanto al “piede sinistro più forte del mondo” (cit. Sven Goran Eriksson), al difensore della Stella Rossa a Belgrado che approdò alla Roma per poi vincere tutto negli anni della Samp e della Lazio. Gli anni belli e poi quelli durissimi spesi a combattere con la leucemia, mentre allenava il Bologna.
Arianna, c’è già aria di Natale…
«E non mi mette allegria. Sinisa se ne è andato il 16 dicembre del 2022. E anche quel giorno in città era tutto uno scintillio».
Come sono stati questi due anni?
«Difficili. Il secondo ancora peggiore del primo. All’inizio ho vissuto sotto shock. Mi sembrava che da un momento all’altro mi potesse chiamare da Bologna, dove stava gran parte della settimana: “Amo’ – mi chiamava così, in un romanesco intinto nell’accento slavo – Domani arrivo, mi fai pasta e fagioli? Piccante, eh”. Il lunedì, il suo giorno di riposo, lo passavamo tra alimentari e norcinerie».
E ora il lunedì cosa fa?
«Esco, vedo gli amici. Che da quando sono vedova sono diventati parte integrante della mia famiglia».
Lei dove è nata?
«Sono del Trullo, periferia ovest di Roma. Agli inizi mi vergognavo a dirlo. Ora ne vado fiera. Sono figlia di un autista dell’Atac e di una maglierista. Vivere al Trullo, negli anni Settanta, è stata dura, ho visto gente morire di droga, suicidarsi. Fin da ragazzina mi sono sempre presa cura della mia famiglia di origine. Ma la periferia mi ha dato la forza: “Io da qui me ne vado”, ho sempre pensato.E così è stato. Per puro caso ho cominciato a fare sfilate, poi i provini per i programmi. Ho lavorato con Baudo, Frizzi. Ma quando ho incontrato Sinisa ho smesso. Volevo lui e una famiglia».
Una famiglia numerosa: 5 figli.
«Sì! Viktorija, 27 anni, lavora con Maria De Filippi. Virginia, 26, si è sposata con Alessandro Vogliacco, che gioca nel Genoa. Miroslav ha preso il patentino a Coverciano, allena l’under 15 del Bologna. Poi c’è Dusan, 22 anni, che collabora con Alessandro Lucci, il patron di una grossa società che si occupa di sport e calciatori. E infine Nikolas, 17 anni: va al liceo».
A casa Mihajlovic il calcio è ancora protagonista.
«I miei figli sono innamorati del pallone: e vanno ancora allo stadio. Io faccio fatica, invece, e poi sa una cosa? Sono una romanista diventata laziale per amore».
Capita! Ilary Blasi ha fatto il giro contrario per Totti…
«Si, mi sa che lei ora è tornatabiancoceleste!». (Ride)
Che padre è stato Sinisa?
«Cambiava i pannolini, faceva il bagnetto, ma dava regole. Quindi non si sgarrava. Per loro perderlo è stato veramente duro. Ma sono la mia forza. A Sinisa gliel’ho promesso. “Ora vai – gli ho detto stringendogli la mano – ai ragazzi ci penso io”. Solo allora se ne è andato… È stato il momento più terribile e intenso che abbia mai provato. Eravamo intorno a lui, io, i figli, il suo migliore amico, mia madre, sua madre. Dopo l’ultimo respiro, c’era una forza in quella stanza che non saprei descrivere. Abbiamo pianto le lacrime che non avevamo potuto versare prima, per non fargli capire che era finita».
Non gli ha detto la verità?
«No, volevano così anche i miei ragazzi. Sinisa aveva troppo bisogno di pensare che avrebbe avuto un domani».
Come vi siete conosciuti?
«A Roma, nel ristorante di un’amica. Un colpo di fulmine. Guardavo i suoi occhi e li trovavo incredibili».
Sinisa ha detto di lei: “L’ho vista e ho pensato: la sposo!”
«Ma poi non ci provava. Per due mesi. uscivamo… ma niente. Io mi ero anche un po’ stranita».
Che cosa vi univa?
«La famiglia. E poi le nostre origini, il venire da famiglie umili. A casa di Sinisa, nella allora ex Jugoslavia, non avevano l’acqua calda. Ha conosciuto anche gli orrori della guerra civile. Un madre croata e padre serbo, si è ritrovato con lo zio che voleva sgozzare suo padre e il suo migliore amico, croato, che ha tirato giù la casa dei suoi genitori».
Che carattere aveva?
«Era perbene, schietto, buono. Non un tipo ridanciano. Non mi diceva mai: “Ti amo”. Ma tra noi era così, l’amore me lo dimostrava coi fatti. E io uguale. Negli ultimi tempi avrei voluto dirgli che lo amavo in ogni momento, ma temevo potesse capire che la situazione stava precipitando.Uno degli ultimi giorni, però, ce lo siamo detti con uno stratagemma. Lui era in clinica, era venuto l’oncologo Marchetti a visitarlo. “Grazie Paolo, ti voglio bene”, gli ha detto mentre il medico andava via. Ho preso la palla al balzo: “E a me?”. “A te ti amo, è diverso”. “Anche io”, gli ho risposto. E non vedevo l’ora».
I momenti più felici?
«Quando sono nati i figli. E poi era allegro quando tornava in Serbia».
E nel 2000, per lo scudetto con la Lazio?
«Felicissimo. Quelli alla Lazio di Cragnotti sono stati gli anni più belli anche per me. La squadra festeggiò insieme a mogli e fidanzate in una villa romana. Poi vollero organizzare un bis: una serata solo tra calciatori.E sa che successe? Ho ancora il senso di colpa».
Cosa accadde?
«Non ce l’ho mandato. Ero gelosa».
Ma povero Sinisa!
«Col senno di poi, me ne pento».
Lei posta molto sui social.
«Sì, è una cosa che ho sempre fatto, espormi non mi imbarazza. Qualcuno mi ha anche criticato per questo. Ma scrivere come mi sento è terapeutico. E ci scambiamo consigli con gente che sta passando il mio stesso dolore».
In un suo post: «Il coraggio è quello delle 3 del mattino».
«Sì, perché è l’ora in cui sei sola con te stessa. Poi però dopo un po’ filtra la luce, senti che in cucina qualcuno traffica col caffè e la vita ricomincia. È dura, non sa quante volte non vorrei alzarmi».
Si sente in credito o in debito con la vita?
«Sono stata fortunata. Mi sono realizzata come donna, ho avuto accanto l’uomo che volevo, cinque figli. E tutti quei baci che mi mandava quando faceva gol…».
Lo sogna mai, Sinisa?
«No. Mi piacerebbe. Ma i primi tempi in casa provavo sensazioni strane: il materasso accanto a me che si abbassava, sentivo a volte il rumore delle sue ciabatte sul pavimento. Una cosa strana continua a succedermi: vedo in continuazione il 19, un numero che lega in qualche modo la nostra famiglia. Il 19 dicembre ci sono stati i suoi funerali, tanti della famiglia sono nati di 19. Ecco, ora sto parlando con lei e faccio caso a quella scritta sulla parete, “1960”. Anche lì c’è il 19. Chissà se è un segno».
Che rapporto ha con i tifosi?
«Da loro ho un affetto pazzesco! Ma anche la dirigenza del Bologna è stata fantastica, ha pagato lo stipendio quando lui non c’era più. Da Lotito, invece, mi aspettavo di più. Non per me, ma per mio figlio, l’allenatore: Sinisa alla Lazio ha dato veramente tanto».