Avvenire, 8 novembre 2024
New York più trampista. E il Bronx ha tradito Kamala
Wisconsin, Michigan e Pennsylvania non sono gli unici mattoni del “muro blu” democratico ad aver ceduto all’avanzata di Donald Trump. Anche una roccaforte storica dei democratici, progressista per definizione, come New York, comincia a sgretolarsi, almeno ai margini. Se il centro della metropoli, Manhattan, parco giochi dei ricchi e centro universitario, regge e resta solidamente blu, gli altri quartieri della Grande Mela stanno tingendosi a chiazze di rosso, soprattutto Staten Island (in realtà da sempre conservatrice, essendo la residenza preferita da poliziotti e vigili del fuoco), ma anche Queens (dove Trump è nato) e il Bronx.
A schede conteggiate, il repubblicano ha ridotto il divario a New York City, ottenendo circa il 30 per cento dei voti, un miglioramento di 7 punti rispetto al 2020.
Trump doveva prevedere una possibile apertura, perché nell’ultimo scorcio pre-elettorale ha fatto varie tappe a New York, dove ha vissuto tutta la sua vita prima di trasferirsi alla Casa Bianca nel 2017 e poi in Florida. Oltre al maxi-evento al Madison Square Garden che ha fatto scalpore per le frasi volgari usate da alcuni oratori, il tycoon ha tenuto un comizio nel South Bronx mirato a catturare l’attenzione di afro-americani e latini.
Ed è proprio nel Bronx, una delle contee più povere di New York e sede di una vasta popolazione latina, che i guadagni di Trump rispetto a quattro anni fa sono stati ancora più pronunciati. Nel 2020 Joe Biden aveva battuto Trump nel Bronx con uno scarto di 69 punti. Ora quel vantaggio si è ridotto a un margine di 22 punti: l’oscillazione più drammatica di qualsiasi contea dello Stato di New York.
La frustrazione degli elettori di origine sudamericana e asiatica e forse anche di alcuni neri e l’incapacità del partito democratico di affrontare le questioni fondamentali che li preoccupano hanno fatto la differenza. La goccia finale, per molti, è stato il recente afflusso di oltre 200.000 immigrati privi di documenti nella metropoli, e gli sforzi imposti dalla legge al Comune di ospitarli. Questi hanno alimentato il risentimento all’interno di alcune comunità di immigrati più consolidate, che si sentono messe da parte in nome dei nuovi arrivati, che non sono cittadini americani.
Ma secondo molti residenti del Bronx ha contato molto anche una tappa imprevista che Trump ha fatto a metà ottobre nel quartiere, stringendo mani ed entrando a chiacchierare in una bottega di barbiere a Castle Hill, con una visita che fatto una forte impressione.
«È un uomo forte, quindi farà bene. Lo farà per l’America – ha detto ieri Javier Rodriguez, proprietario del negozio –. Non abbiamo visto nessun democratico qui, ma Donald Trump si è presentato, ha deciso di farlo, ha accettato il mio invito. Era qui e c’erano clienti democratici e repubblicani e ha risposto alle nostre domande». Un cliente annuisce: «Penso che la visita ha avuto un impatto, ha avuto un’influenza su alcuni elettori qui nel Bronx – dice –. Molte persone hanno cambiato idea. Io sono democratico e ho cambiato opinione. Ora sono repubblicano e ho votato per Trump, perché è un uomo d’affari, è schietto e capisce i nostri problemi».
Il figlio di Rodriguez, Javier junior, gli fa eco: «Trump vuole migliorare l’economia, togliere i migranti che sono qui e provocano caos. Non dovrebbero essere qui». A Javier padre e figlio e ai clienti che si stanno facendo tagliare i capelli o radere, quasi tutti portoricani, non è piaciuto che qualcuno al comizio di Trump al Madison Square Garden ha chiamato Porto Rico una “isola di spazzatura”. Ma assicurano che la frase non ha avuto alcun effetto sulla loro decisione. «Quello che conta è che Trump ripulirà il Paese dalla vera spazzatura – continua il più anziano Javier –. Qui abbiamo tutti l’impressione che lavoriamo, lavoriamo e lavoriamo ma non è mai abbastanza, non porta davvero frutti. Sono venuto a New York per comprare una casa e dare una vita migliore ai miei figli, beh, non ci sono ancora riuscito, e ogni anno diventa più difficile».