il Fatto Quotidiano, 8 novembre 2024
Due opere sospette nelle mostre di Sgarbi?
Un quadro del Seicento sparisce da una mostra senza che nessuno lo sappia. Una statua ricompare dopo un furto in un’altra esposizione, senza che nessuno se n’accorga. Era di un giudice che l’aveva messa sulla tomba del figlio tragicamente morto a soli 22 anni per un incidente stradale: 27 anni dopo ricompare come proprietà di Vittorio Sgarbi, che l’ha messa in mostra. L’inchiesta congiunta Fatto–Report porta alla luce due rivelazioni clamorose, che aggravano la posizione dell’ex sottosegretario già accusato di esportazione illecita a Imperia e di riciclaggio a Macerata. In altre città gode ancora della protezione di sindaci a lui molto fedeli: due giorni fa Alan Fabbri lo ha confermato presidente del museo civico di Ferrara Arte, mentre a Rovereto ci aveva pensato a gennaio Maurizio Fugatti, come se nulla fosse successo. Ma ecco servito il colpo di scena: in due mostre che Sgarbi ha organizzato proprio nei due musei pubblici che continua a presiedere spuntano altre opere che presenta come sue proprietà ma risultano rubate.
A Palazzo dei Diamanti sabato 12 ottobre apre la mostra ideata da Sgarbi Ferrara e il Cinquecento: 113 tele di autori ferraresi come Mazzolino, Garofalo, Dosso e di Giovanni Battista Benvenuti detto “l’Ortolano”. Lui stesso presta una decina di opere tra le quali spicca una copia “inedita” da questo pittore: una pala d’altare di 118 per 86,5 cm dal titolo Compianto sul Cristo morto datata metà del XVII secolo. Figura nel voluminoso catalogo, ma la scheda curatoriale non ne riporta la provenienza. Allora battiamo tutte le 14 stanze dell’esposizione, ma l’opera non c’è. Chiediamo ai commessi, neppure loro la trovano. Per le sue dimensioni, dicono, dovrebbe stare alla numero nove, quella delle grandi pale. Alla parete di destra – a circa due metri d’altezza – c’è un foro col segno d’un chiodo. «Quella pala non entrava qui dentro, così ci han detto», riferisce un custode.
Ma non è andata così. Tre giorni prima dell’inaugurazione era avvenuto qualcosa che molti sanno, ma nessuno dice: «Il 9 ottobre i carabinieri l’hanno sequestrata, impacchettata con il pluriball lasciando solo la cornice. L’hanno portata via su un furgone, pare fosse rubata». E infatti, l’opera oggi non è più a Ferrara bensì a Roma, tra i beni sequestrati dal reparto operativo del Nucleo Tutela Patrimonio, non lontano dal Manetti rubato per cui Sgarbi rischia fino a sette anni.Arriva infine la conferma del direttore di Fondazione Ferrara Arte, Pietro di Natale: «Non è stato esposto perché c’è un provvedimento dell’autorità giudiziaria per un’indagine in corso», ammette. E tuttavia i vertici del museo e le autorità cittadine si sono ben guardati dal darne notizia e comunicare tale circostanza. Ai visitatori paganti non viene fornito alcun avviso che l’opera – ampiamente pubblicizzata – non c’è.Ma di chi era? «Mi hanno chiamato i carabinieri», racconta Paganello Spetia, giornalista ormai in pensione, discendente di conti locali vicino a Perugia e proprietario dell’opera che risulta rubata nel lontano 1984 dal palazzo di famiglia. «Sono passati quarant’anni ma lo ricordo bene: i ladri tagliarono la tela e lasciarono lì la cornice. La Procura di Macerata l’ha sequestrato». Sa che ora risulta di proprietà della Fondazione Cavallini Sgarbi? «No, lo scopro da voi».
A Rovereto invece nessuno si era accorto dell’improvvisa ricomparsa di una scultura in terracotta del volterrano Raffaele Consortini, Madre e figlio, anno 1939, misure 42,5 per 32,17. Il furto è stato denunciato nel 1997. Riemerge ora, 23 anni dopo. Ma dove? In quel di Rovereto, nella mostra Giotto e il Novecento che si è tenuta dal 5 dicembre 2022 al 4 giugno 2023 al Mart. Proprio così, risulta tra i 178 prestiti che il presidente Sgarbi negli anni ha chiesto allo Sgarbi collezionista privato. Quella terracotta però arriva da Cascina, 350 km più a sud, in provincia di Pisa. Qui incontriamo l’ex giudice della Corte d’Appello di Firenze in pensione Antonio Nannipieri. L’appuntamento è al cimitero. Davanti alla foto del catalogo strabuzza gli occhi.
«È la stessa, la nostra, non ho dubbi: me la regalò mia madre per mio figlio, tragicamente morto nel 1987 in un incidente stradale con la fidanzata. Stava proprio qui, sull’altare della cappella di famiglia». Nannipieri, 88 anni, stringe la foto del catalogo che riporta invece la dicitura Proprietà della Fondazione Cavallini-Sgarbi, le mani gli prendono a tremare. Si appoggia all’altare dove trova sostegno. Un po’ frastornato prova a mettere insieme i pezzi. «Due anni fa erano venuti i carabinieri e mi avevano chiesto se era la stessa di cui avevo denunciato il furto nel 1997. Da allora non si è più fatto vivo nessuno, e adesso scopro da voi che Sgarbi, un ex sottosegretario di Stato, l’ha esposta come fosse sua».Il mestiere della legge gli viene in soccorso. «Magari non sapeva fosse rubata eh, ma un collezionista dovrebbe controllare la provenienza delle cose che acquista, specie se poi le mette in una mostra». Guarda e riguarda le foto del catalogo, quelle dell’epoca, rilegge la didascalia. Annoda e riannoda i fili della storia. Spiega che non è il valore economico che gli preme «mi creda, dopo vent’anni vorrei solo tornasse al suo posto». Poi l’anziano giudice alza la testa dalla foto, gli occhi si velano: «Per me è una cosa sconvolgente guardi, mai avrei immaginato, mai…».