Corriere della Sera, 8 novembre 2024
Sinner messo a nudo dal suo allenatore
Ha smarrito il sorriso, l’ha ritrovato. La domanda più semplice, a due giorni dal debutto da favorito nelle Atp Finals contro De Minaur, è anche la più complicata. Ma Darren Cahill, coach australiano di Jannik Sinner, non si tira indietro.
Come sta Jannik?
«Arriva a Torino da un anno bellissimo, pieno di lezioni da imparare. Jannik si è dimostrato maturo e resiliente: non avrebbe vinto tanto, sennò, con i picchi di qualità assoluta che ha avuto. Si è comportato in un modo che non dimostra affatto i suoi 23 anni».
Quel che non ti uccide ti fortifica.
«Dopo quello che ha attraversato, ha capito che nella vita potrà sopravvivere a tutto: nulla può più fargli paura. Due Slam, la stagione chiusa da n.1: Jannik è d’ispirazione anche per me, che pure sono un coach navigato. Tutti parlano del team che lo circonda, quanto siamo importanti per lui. Ma è vero anche il contrario: il leader è lui, è lui che traccia la via. E se ne è capace, è perché sa di essere innocente: non ha fatto nulla di male. Certo la Wada ha fatto ricorso, dobbiamo attendere la sentenza del Tas. È un argomento serio, non ci scherziamo sopra. Jannik va avanti a testa alta, intanto».
Nulla da temere?
«L’ha detto la Wada stessa, appellando: la sostanza trovata nelle urine di Jannik non ha a che vedere con il doping che altera le performance. Non è in discussione la ricostruzione di come sia potuto risultare positivo: un errore di un paio di ex membri del team, senza alcuna responsabilità del giocatore».
Essere il grande favorito cambia l’approccio alle Finals?
«Ogni volta che Jannik scende in campo, ci si aspetta che vinca. Non è sempre possibile: Alcaraz l’ha battuto tre volte quest’anno, l’unico successo di Jannik è arrivato a Riad, un’esibizione qualificata. Ognuno degli otto maestri è favorito a Torino, certo Jannik è sostenuto dai ricordi: qui prese la rincorsa per il 2024, che si è aperto con il successo in Australia. Gli piacciono il campo, la città, l’atmosfera, il tifo è tutto per lui, i presupposti per fare bene ci sono. Sarà durissimo batterlo. Ha già dimostrato di poter reggere la pressione da favorito di uno Slam a New York, lo farà anche qui».
Sinner al top contro Alcaraz al top: chi vince?
«Non posso rispondere. Ho troppo rispetto per Carlos, il suo coach e il mio giocatore, che è l’ultimo che allenerò nella mia carriera. Non dirò mai che Sinner è meglio di Alcaraz, né viceversa. Se si ritrovassero in finale farò il tifo per Jannik e mi godrò lo show».
Due anni e mezzo con Sinner: ha capito qual è il suo più grande talento?
«L’abilità di processare informazioni e trasformarle in azioni. La capacità di imparare in fretta. Ci sono giocatori conservativi, che non amano cambiare il proprio tennis per la paura di fare passi indietro. Jannik è l’opposto: non teme di perdere un paio di match nel tentativo di implementare il suo gioco. In questo ambiente è raro, mi creda. Il suo superpotere è non aver timore di migliorarsi. Oggi sa giocare in 5-6 modi diversi, sa chiudere il punto col servizio, a rete, giocando sulla riga e dietro la riga, sa usare il drop shot, lo slice, il back. Non sa solo picchiare forte: lo sa fare con intelligenza».
La programmazione 2025 sarà la stessa?
«Cambieremo qualcosina. Il passaggio Miami-terra quest’anno è stato troppo brusco, lo prepareremo meglio, anche per non rischiare infortuni. Tutto continuerà a ruotare intorno agli Slam. L’Atp non ci facilita la vita allungando i Master 1000: alcuni durano due settimane. Così non è facile riposarsi: faremo delle scelte. Jannik deve anche completare la crescita fisica. C’è da dire che si fida molto di me e Simone Vagnozzi».
Chi gli ha suggerito di andare in Arabia?
«Quando Jannik ha detto che non è andato a Riad per soldi, è stato frainteso. O forse non si è spiegato bene. La verità è che non aveva mai giocato un’esibizione: si è sempre concentrato sul miglioramento del suo tennis. Conosce le sue priorità. Poi è arrivata un’offerta da Six Kings Slam, con i migliori sei del mondo e molto denaro. Ci siamo consultati come team: perché no? E ha accettato».
Sarà dura batterlo
Gli piacciono Torino, il campo, l’atmosfera, il tifo è tutto per Sinner, sarà durissimo batterlo. Ha già dimostrato di saper reggere la pressione
La Coppa Davis è certa o dipende da Torino?
«Se sta bene fisicamente, la sua presenza a Malaga non è in dubbio».
Il momento più basso nel 2024?
«La notizia della positività. La mail dell’Itia è arrivata a Alex Vittur, che l’ha comunicato a Jannik. È tutto nelle 33 pagine della sentenza di proscioglimento. Quello è stato letteralmente uno choc. Umberto Ferrara e Giacomo Naldi sono stati a lungo due eccellenti membri del team: il loro errore è stato un fulmine a ciel sereno. Del tutto insolito rispetto alla professionalità dimostrata fin lì. Nessuno all’inizio riusciva a capire».
Perché ci avete messo tanto a separarvene?
«Abbiamo saputo della positività prima di Montecarlo. La priorità, subito, è stata capire cosa fosse successo. E lì è emerso l’errore non intenzionale di Umberto e Giacomo. A quel punto è partito il procedimento con Itia e Sport Resolutions. Deve capire che è servito del tempo per ricostruire, nel frattempo abbiamo ritenuto di mantenere il team unito. Sono passati due o tre mesi. Dopo Wimbledon, Ferrara e Naldi non hanno più lavorato con noi. Ci sentivamo su una nave diretta verso un iceberg: dovevamo capire come navigargli intorno. Ma non c’è rancore per Umberto e Giacomo».
Il malore di Wimbledon: eravate al corrente della notte senza sonno alla vigilia?
«Sì. Ma Medvedev ha giocato un signor match, il malessere di Jannik non toglie nulla alla sua vittoria».
Il suo talento
«La capacità di processare informazioni in azioni e di imparare in fretta»
Lo scenario di una sospensione del Tas: ne parlate, fosse anche per esorcizzare?
«Sappiamo che la squalifica è una possibilità ma non c’è nulla che noi si possa fare per cambiare questa situazione. Quindi ci concentriamo sul lavoro quotidiano. Qualsiasi cosa succederà, Jannik l’affronterà con la solita maturità e compostezza. E noi faremo di tutto per proteggerlo. Il tennis è il suo posto sicuro, la sua bolla: in campo si diverte, sente che non può succedergli niente di male».
La volta in cui è stato più orgoglioso di Sinner?
«A Melbourne. Il primo titolo Slam, una finale vinta in quel modo, rimontando due set a zero a Medvedev. Quel dritto lungolinea sul match point... Ho i brividi a parlarne ancora oggi».