Corriere della Sera, 8 novembre 2024
Melania, la first lady riluttante
Grufolando tra le vite private dei presidenti americani gli storici ogni tanto trovano un tartufo (e il contratto per un libro, che di questi tempi non è poco). Se della vita sessuale di Donald Trump la cronaca, anche giudiziaria, si è occupata in questi anni a fondo, della storia del suo attuale matrimonio (dopo quello con la cecoslovacca Ivana e l’americana Marla) con Melania si è sempre saputo pochino. L’ex modella slovena ha scelto durante la campagna del 2016 il bassissimo profilo, l’ha mantenuto durante i quattro anni alla Casa Bianca e ancor di più durante i quattro anni della presidenza Biden nel suo ruolo di ex first lady.
Era l’anti-Eleanor Roosevelt e l’anti-Hillary Clinton (che proprio sull’esempio di Roosevelt modellò il suo attivismo), e in un senso molto concreto anche l’anti-Jackie Kennedy: perché pur essendo la prima first lady ex modella (c’era già stata una ex attrice: Nancy Reagan, la first lady più potente dell’era moderna) Melania Trump non ha mai fatto ombra al debordante coniuge. Famosa la battuta di JFK che all’arrivo a Parigi per la prima visita di Stato osservò le folle che acclamavano non lui ma sua moglie e disse: «Sono il tizio che ha accompagnato Jackie». Donald Trump è geneticamente incapace di essere il tizio che accompagna la moglie, e tutte le sue mogli hanno accompagnato lui, tranne Melania. Lei, semplicemente, molto spesso non c’era. Non lo raggiunse a Washington per mesi, dopo che lui traslocò alla Casa Bianca. Motivazione ufficiale: il figlio Barron doveva prima completare l’anno scolastico.
Per questo motivo parlare, come si fa in queste ore, di Melania «first lady part time» nei prossimi quattro anni è improprio, visto che in un certo senso lo è sempre stata, invisibile durante la campagna elettorale appena conclusa (non era con Donald neanche quando gli spararono), avendo chiaramente concluso un accordo con il marito che non richiede una sua costante presenza al suo fianco. È riapparsa, per forza di cose riposatissima e in ottima forma, all’«election day»: per due volte in completo Dior, prima un abito a pois bianchi e neri per votare a Palm Beach e poi un tailleur grigio per il discorso del marito martedì sera.
Melania Trump resterà dunque, a quanto pare, a New York (Trump Tower) perché lì il figlio Barron frequenta l’università e a Palm Beach (nel villone-resort Mar-a-Lago), intervenendo a Washington soltanto per eventi speciali, e (si suppone) per i viaggi di Stato. Tra l’altro, che i Trump avessero camere dal letto separate alla Casa Bianca durante il suo primo mandato era tutt’altro che un fatto inedito: i precedenti storici ci dicono che fu l’apparentemente poco romantico Gerald Ford a decidere insieme con la moglie Betty di fare una piccola rivoluzione del costume e utilizzare la stessa camera da letto. Prima di loro, per due secoli, i presidenti e le first lady avevano avuto camere separate (tradizione mutuata dai nobili inglesi: la neonata America senza storia propria tendeva a copiare le tradizioni britanniche e l’architettura palladiana).
Non ci resta che consultare alacremente il suo libro (il marito durante i comizi lo definisce con la solita grandeur «bestseller numero 1») pubblicato meno di un mese fa. Melania, Skyhorse Publishing, 256 pagine, 40 dollari, debutto ufficiale del «brand Melania». Biografia atipica: niente foto in copertina ma soltanto un grande «Melania» tutto maiuscolo in bianco su sfondo nero, caratteri sans serif come i loghi di varie case di moda. Tantissime fotografie invece all’interno, l’album con i ricordi di una vita (compreso il timbro, sul passaporto, dell’aeroporto di Linate dal quale partì per New York) e pochissime rivelazioni. A parte l’ammissione di essere favorevole all’interruzione di gravidanza (Donald ha mandato alla Corte Suprema tre giudici che hanno cancellato la sentenza del 1973 che la legalizzava in tutto il Paese) c’è davvero poco di sorprendente. Nulla su Stormy Daniels, pornostar che sostiene di aver avuto una relazione con Trump quando Melania aveva da poco partorito e che lui pagò per tacere, niente sulla modella di Playboy Karen McDougal che sostiene di essere stata l’amante di Trump. E meno di zero su E. Jean Carroll che ha accusato Donald di averla violentata, ha vinto la causa civile e ottenuto un maxi-risarcimento.