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 2024  novembre 07 Giovedì calendario

Musk, l’astro che illumina Trump

Chi ha vinto? L’uo mo anziano, inprima fila sul palco, o quello più giovane, alle sue spalle? Di chi è il futuro: del king, il re appena eletto, o del king-maker, che l’ha portato alla vittoria? Donald Trump o Elon Musk? Perché quello che è appena stato designato a ri-diventare l’uomo più potente della Terra si è subito inchinato a quell’altro definendolo «un spergenio», «una stella», «un patrimonio da tutelare»?Ci sono molte immagini che vengono alla mente osservando la strana coppia dei padroni d’America. La prima è quella di due personaggi da universo dei fumetti: non super-eroi, ma cattivi che, a seguito di una trasformazione etica ed estetica della passione popolare, sono diventati i nuovi beniamini del pubblico, non Batman e Robin, piuttosto il Pinguino e il Joker. La seconda è un riflesso nostrano, una delle rare fotografie in cui appaiono Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio: la star nazional-popolare, il battutista conosciuto da tutti e il tessitore di algoritmi nell’ombra che lo trasporta da una dimensione all’altra. La terza: proprio loro due, Trump e Musk, al comizio di Butler, nello Stato chiave della Pennsylvania, sabato 5 ottobre ultimo scorso. Donald Trump è al microfono, protetto da vetri antiproiettile. Ha le mani sul leggio, gli occhi semichiusi, i soliti capelli arancio con la riga, il doppiopetto blu, la camicia bianca, la cravatta rossa: la più grossa bandiera inamidata mai incarnata. Alle sue spalle, di nuovo, sbuca Elon Musk, con un salto. L’iconografia lo lascia per sempre sospeso a mezz’aria, le braccia alzate, il cappellino nero con la scritta Make America Great Again, la maglietta Occupy Mars sotto la giacca, sollevata a mostrare l’ombelico sopra la cintura Tesla. Un piccolo inno alla gioia.Un’altra domanda: nel concerto di una rock band, chi è ad entrare in scena così? Risposta: il frontman, l’elemento principale. Gli altri hanno accordato gli strumenti, srotolato il tappeto sonoro, ma è quando arriva lui che parte la musica. Trump è severo, furioso, “Fight! Fight! Fight!”. Musk è leggero, entusiasta, allude a nuovi pianeti e macchine mirabolanti. Il passato non potrebbe mai ripetersi se non si travestisse indossando uno straccio di futuro. Insieme, i due proiettanol’immagine di una società in divenire, così nuova, così antica. Davvero la storia è finita: non fa che ripescare vecchi modelli. Trump e Musk impersonano il ritorno del maschio, frustrato dal politicamente corretto e dal MeToo. Alludono a un neo-tribalismo in cui radunano intorno a sé selve di mogli ed ex mogli, pletore di figli, rimediano alla sovrappopolazione del pianeta sbiancandola. L’estrema modernità comunica vetusti messaggi. Eppure funzionano. Scegliere come vice J.D. Vance è stata una mossa come un’altra, accoppiarsi a Elon Musk, una mossa vincente. Per tutti e due. Ma per chi dei due, soprattutto? Chi ha scelto l’altro? Raccontano che a metà aprile Musk se ne stesse con i suoi consiglieri in una suite del Proper Hotel, a Austin, in Texas. Probabilmente si annoiava. Lesse un tweet di Trump contro il voto a distanza. Non si era mai schierato per lui, anzi. Due anni prima aveva dichiarato che era giunta l’ora, per l’ex presidente, di appendere il cappello e svanire nel tramonto. Un calcolo fatto dai suoi tecnici gli rivelò che Trump stava sbagliando: la sua candidatura avrebbe tratto vantaggio da quell’opzione di voto. Non si conoscevano, gli fece spedire una mail. La sera stessa un tweet di Trump seguiva il suggerimento di Musk. Era l’inizio di una bella (per loro) amicizia.Non è stato Trump a dare a Musk le chiavi della sua campagna elettorale, ma il contrario. Musk gli ha indicato i casolari sparsi negli Stati in bilico: «Se ce la fai lì, ce la farai ovunque». Ha creato un comitato di attività politiche (Pac), arruolato centinaia di persone, spedite a bussare a 10 milioni di porte per dire che «se non avesse vinto Trump sarebbe finita la democrazia». Se si è capovolto l’esito del voto del 2020 in quegli Stati è anche, soprattutto, per questo. Musk in persona ha fatto campagna elettorale nel resto del mondo, quello virtuale, dove già regna.Ha comprato Twitter nel 2022, l’ha ribattezzato X (come uno dei suoi figli), ci ha perso all’inizio dei soldi, ma il progetto non era guadagnare, era comandare. Non si entra più in quello spazio social senza incrociare Musk e i suoi messaggi. È la prima raccomandazione per i nuovi iscritti. Ha 203 milioni di follower, ha scalzato Obama e l’ha spinto sempre più giù. Tra giugno e settembre ha raddoppiato (da 500 a 1000 al mese) il numero dei suoi post. Ha virato sulla politica, sempre la politica, sempre Trump. Ha speso 119 milioni di dollari per farlo eleggere. Qual è la contropartita? Trump ha detto di volerlo mettere a capo di un nuovo dipartimento per l’efficienza governativa. Musk ha già creato un acronimo (Doge) che gli piace perché lo rende sovrano di qualcosa. Un progetto del genere lo concepì anche Reagan, o chi per lui. Con Musk potrebbe diventare una bomba a orologeria, portare al licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici, fannulloni e no, digitalizzazioni, meccanizzazioni, fantascienza applicata alla burocrazia. Si vedrà. Tutto qui? Soccorre il Manzoni, dal secondo coro dell’Adelchi: “E il premio sperato, promesso a quei forti, sarebbe, o delusi, rivolger le sorti?”. 119 milioni di dollari per diventare lo Zangrillo di Trump. Davvero?