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 2024  novembre 07 Giovedì calendario

A casa Trump la sera della vittoria


È diventato chiaro alle 9 di sera, due ore dopo la chiusura dei primi seggi, che Kamala Harris era seriamente nei guai. Stava perdendo in North Carolina e Georgia. La Cnn provava a spiegare che, anche se Donald Trump era in testa di 242mila voti in Georgia, nel 2020 alla stessa ora Trump era in testa di 244.000 voti contro Joe Biden, che poi aveva recuperato e vinto. Forse sarebbe stata la stessa cosa. Invece non era la stessa cosa: stavano contando i voti molto più rapidamente e Harris era sempre indietro.
«L’America ci ha dato un mandato potente e senza precedenti», proclama Trump alle 2.30 del mattino, quando finalmente appare sul palco della gigantesca sala senza finestre simile a un bunker, nel Convention Center di Palm Beach. Due ore prima ci hanno avvertiti che è partito da Mar-a-Lago, ma prima di parlare aspetta che le tv riconoscano la sua vittoria. Ai suoi piedi, un popolo di «special guest», con badge dorati e cappellini rossi distribuiti dalle bionde volontarie evangeliche della North Carolina che spesso Trump ringrazia ai suoi comizi. Gli ospiti più determinati a vederlo da vicino sono in piedi da dieci ore davanti al palco, una coppia ben vestita che si infila all’ultimo è costretta a tornare indietro, respinta dal senso collettivo di giustizia. Gli «invitati speciali» hanno seguito esultando il conteggio dei voti sul grande schermo. Tre ragazze, volontarie in Pennsylvania, gridano come groupies «Fuck yeah» quando Trump proclama che renderà l’America di nuovo grande. «Un movimento mai visto prima, il movimento più grande di tutti i tempi»: è la prima cosa che dice quando prende la parola. È il terzo presidente repubblicano in 36 anni a conquistare il voto popolare: 72 milioni di voti contro i 67 milioni di Harris. È la prova di una base solida e dell’appoggio solo tra i bianchi ma anche tra le minoranze. Però è un numero simile ai 74 milioni di voti che ottenne nel 2020, quando perse, mentre Harris ha ricevuto 14 milioni di voti in meno di Biden. Insomma, è stato un referendum contro il partito democratico e Kamala Harris.
I democratici credevano che le battute volgari, sessiste o razziste di Trump lo avrebbero sconfitto. Sandra Rivera, leader dei «Latinos for Trump», ammette che quella su Porto Rico «isola di spazzatura» è stata «una pessima battuta, ma ci sono battute sugli italiani, gli irlandesi, i tedeschi...» e alla fine ciò che conta è che Trump è «un presidente del popolo». «Chi viene dal Venezuela o da Cuba e non riesce a vivere il Sogno americano» dà la colpa all’aumento dei prezzi e ai confini aperti e agli immigrati clandestini che portano via i posti di lavoro, spiega Rivera. «E l’altra ragione è che rappresenta i nostri valori: Dio, famiglia e Paese». Il 47° presidente degli Stati Uniti dice che Dio lo ha salvato perché possa salvare il Paese. Ringrazia Melania e tutti i figli sul palco, ma con Barron, diciottenne, assente finora ai comizi c’è un’evidente sintonia (Ivanka è lontana). Barron gli ha consigliato in quali podcast farsi intervistare per piacere ai giovani, gli ha detto di «rilassarsi» quando i sondaggi pro-Harris lo facevano impazzire, e annuisce quando Donald cita la suocera, madre di Melania, scomparsa di recente: è lei che ha cresciuto Barron.
Trump cede la parola brevemente a due persone: il primo è il suo vice, J.D. Vance; la seconda è una figura meno conosciuta al grande pubblico, ma cruciale, Susie Wiles, una nonna bassina e canuta, la manager della sua campagna elettorale, che saluta ma rifiuta il microfono, al quale si fa avanti il suo braccio destro Chris LaCivita, stratega repubblicano di lungo corso (un tempo sferrò gli attacchi alla reputazione militare di John Kerry). Sono loro il motore dietro al «comeback», alla rivalsa di Trump: lo hanno spinto giorno dopo giorno a restare sul messaggio (economia e immigrazione), hanno combattuto l’influenza di altri consiglieri come Corey Lewandowsky (quest’ultimo già nel 2016 combinò guai come le avance alla moglie di un finanziatore), ignorando il circo che includeva un Rudy Giuliani claudicante sulla decappottabile di Lauren Bacall che deve vendere per pagare la condanna per diffamazione delle volontarie elettorali. La squadra elettorale alla fine era esausta: molti prendono l’Ozempic perché l’immagine conta nel mondo di Trump; e da mesi non dormono perché in aereo il capo non dorme mai, spara la musica dei suoi comizi e vuole chiacchierare.
Il discorso della vittoria è arrivato così tardi che due cantanti, Lee Greenwald e il tenore Chris Macchio sono stati rimossi dal programma. Alla fine era un fuggi fuggi di gente con il bagaglio a mano. La deputata Elise Stefanik trascinando il trolley trovava il tempo per dichiarare: «Che grande giorno per l’America». Due amiche col cappellino rosso, una ex insegnante bianca e una guida religiosa afroamericana, aspettano un uber. Votarono Obama, in nome del cambiamento. Ma cambiamento ora significa ritorno al passato perché nessuno ha proposto un’altra strada convincente verso il futuro.