Libero, 6 novembre 2024
Orologio del Milan in premio al galeotto
Amare il Milan ma non poterlo seguire allo stadio, per pagare amaramente gli errori commessi nei tempi passati della propria vita. Come capitato a un uomo quasi settantenne, M.M. le sue iniziali, che è tuttora detenuto al carcere di San Vittore.
Nelle sue comuni giornate dietro alle sbarre ha avuto un solo desiderio, escluso la voglia di tornare in libertà, espresso più volte alla sua avvocata, Antonella Calcaterra. Un sogno che coniugasse il concetto di tempo, di sport e di amore infinito per la sua squadra, ieri sera impegnata in Champions al Bernabeu contro il Real Madrid dell’ex Carletto Ancelotti. «Vorrei un orologio del Milan, mi farebbe sentire meno solo e più vicino ai miei giocatori», è stata la richiesta che il detenuto ha fatto avere il suo avvocato.
Nulla di impossibile, hanno pensato Calcaterra e il suo collega Bruno Anastasia, che hanno così tentato di esaudire l’idea del loro assistito.
Lo hanno fatto scrivendo un’istanza al direttore del carcere di San Vittore, Giacinto Siciliano: «M.M., detenuto da giugno 2022 e con fragilità psichiche e psicologiche, è solo al mondo e ha espresso il desiderio di ricevere l’orologio della sua squadra del cuore – si legge nella lettera scritta dai due legali —. Confidiamo nella sua benevolenza e nel far esaudire un desiderio di un quasi 70enne con le problematiche sopra esposte».
L’accessorio, già scelto per l’uomo, è stato fotografato e allegato alla mail ricevuta da Siciliano: colorato a tinte rossonere e con lo storico stemma del Diavolo nel quadrante, per segnare il tempo.
L’ok definitivo da parte del direttore del carcere è arrivato dopo alcuni gironi di riflessione, con un messaggio di risposta: «Autorizzo a consegnare (l’orologio, ndr) direttamente in segreteria del direttore che provvederà ai controlli e alla consegna», le semplici parole per accontentare la volontà del tifoso, rimasto «contentissimo per il gesto – ha rivelato a riguardo Calcaterra – anche se al momento non lo indossa per paura di rovinarlo, ma lo tiene come una reliquia nella sua cella».
Una storia che ha commosso anche il segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), Donato Capece: «Sicurezza e trattamento dei detenuti da parte degli agenti viaggiano di pari passo – è il suo commento —. Un segnale di come il detenuto acceda a un percorso “trattamentale”, per poi essere preparato a ritornare in società. L’ennesima dimostrazione di come il carcere sia un luogo aperto all’ascolto del detenuto, contrario al pensiero ribadito spesso da alcune pseudo-associazioni che sostengono come all’interno di queste strutture chi sbaglia venga poi dimenticato».
Educatori, psicologi e quant’altro «lavorano per cercare di dare una chance a quei soggetti che hanno perso la retta via e – conclude Capece – che mostrano attraverso l’amore per il calcio o mille altri motivi un qualcosa nel quale credere, mentre intraprendono la strada del reinsediamento sociale. La Polizia nel frattempo fa sempre sì che la sicurezza venga garantita, una componente importante tanto quanto il recupero del detenuto all’interno di ogni carcere d’Italia».