La Stampa, 6 novembre 2024
Biografia di Kabir Bedi
«La cooperazione è sempre preferibile al conflitto, specie in un momento in cui Europa e Medio Oriente sono attraversate da tragedie». Kabir Bedi, 78 anni, è un convinto pacifista e non perde occasione di ribadirlo mentre parla del nuovo film tv Questione di stoffa di Alessandro Angelini, disponibie su Raiplay. Il suo ruolo è quello dello zio Ramesh, a capo della sartoria indiana Deepti’s Taylor, rivale dell’italiana Mampresol. «Anche Ramesh è un pacifista, non incentiva la competizione, punta a placare gli animi. Mi ci ritrovo molto: ho amato la sua dedizione alla famiglia».
Che rapporto ha lei con le nuove generazioni?
«Li trovo brillanti, ne sanno molto più di noi. Ammiro il loro ottimismo e la loro determinazione a costruire insieme un nuovo mondo. Certo, sono molto distratti dai social che li sottraggono alla creatività. Come ogni generazione devono trovare un equilibrio».
Lei quando l’ha trovato ?
«Ancora non sono sicuro di averlo trovato, ma scrivere il libro Storie che vi devo raccontare mi ha aiutato. Ho realizzato che la mia vita è stata una grande montagna russa, fatta di grandi successi, ma anche altrettante tragedie».
Dovesse indicare le svolte della sua carriera?
«L’intervista ai Beatles da cui è partita la mia carriera da attore. Poi sicuramente il successo di Sandokan che mi ha fatto conoscere a Hollywood dove mi hanno proposto film di James Bond, serie come Beautiful e altro».
E il momento più buio?
«Quando è morto mio figlio Siddharth Bedi (nel ’97, ndr), sono caduto in una terribile depressione. Ogni emozione azzerata, ero a terra emotivamente, ma anche professionalmente e finanziariamente».
Come si è rialzato?
«Mi sono dovuto reinventare, ho lasciato Hollywood e ricostruito la mia vita pezzo dopo pezzo senza mai perdere la speranza».
Si è sposato quattro volte?
«E sono rimasto amico con tutte le donne con cui sono stato. Ci vuole rispetto reciproco e accettazione: se anche una cosa non finisce come pensavamo bisogna accettarlo e andare avanti».
Cos’è oggi l’amore per lei?
«Non c’è un solo tipo di amore, ma ho imparato che per quello più duraturo non bastano attrazione ed emozione, ci vuole un senso di amicizia. Sentire di essere compagni e complici rafforza un rapporto e lo rende più profondo. Sono amico delle donne, il cinema è un ambiente difficile per loro, ho sempre fatto il possibile per aiutarle. Sarà che il mio modello di vita è una donna».
Chi?
«Mia madre. Una donna eccezionale, seguace di Gandhi, ha fatto parte del movimento indipendentista dell’India, ora è una monaca buddista. Un faro per me e per tanti».
Rimpianti ne ha?
«Parecchi, ma non perdo neanche un istante a pensarci. Bisogna sempre guardare avanti».
Che dice del nuovo Sandokan?
«È un buon progetto a cui auguro tutto il successo che ho avuto io. Sono felice per chi avrà la fortuna di interpretarlo e sicuro che quando uscirà più di qualcuno avrà modo di ripensare al mio Sandokan. Un personaggio che mi ha dato più fama e onore di qualsiasi altro ruolo e nuove dimensioni di esistere come attore e come essere umano». —