la Repubblica, 6 novembre 2024
Intervista a Caterina Barbieri scelta dal presidente della Biennale per la musica
Una nomina sorprendente, che spiazza tutti e è destinata probabilmente a far discutere. Trentaquattro anni, “giovanissima”, ma lei dice che non è così, o forse lo è solo in Italia dove si è abituati alla gerontocrazia, Caterina Barbieri, scelta da Pietrangelo Buttafuoco, è la seconda donna alla guida della Biennale Musica dopo l’uscente Lucia Ronchetti. Direttrice che, a sua volta, aveva contribuito a innovare non poco la scena, portando a Venezia jazz e musica elettronica. La formazione di Barbieri è duplice: diplomata in chitarra classica nel 2012 con Walter Zanetti al conservatorio di Bologna, nel 2014 consegue anche il diploma in composizione elettroacustica con Francesco Giomi. L’anno successivo, nel 2015, si laurea in Lettere moderne con una tesi in etnomusicologia.
Oggi vive a Berlino e il suo profilo è decisamente internazionale: ha presentato progetti al Barbican di Londra, al Centre Pompidou di Parigi, al Berliner Festspiele, all’Haus der Kunst di Monaco, alla Philharmonie de Paris. Barbieri ha anche pubblicato otto album, gli ultimi per la prestigiosa label Warp. Si collega via Zoom da Bangkok dove sta per tenere un concerto.
Si aspettava questa nomina?
«No. La chiamata del presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco è stata una vera sorpresa».
Come pensa che l’abbia individuata per questo ruolo?
«L’unica spiegazione che mi do è che sia l’anno scorso che quest’anno ho collaborato a diversi progetti per la Biennale».
Lei condivide la linea politica del governo che il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco rappresenta?
«Io e lui siamo allineati nella passione e nell’entusiasmo. I contatti avuti finora mi hanno mostrato in modo chiaro questi aspetti, quindi sono felice di dare il mio contributo. Io cercherò solo di essere me stessa, perché l’arte ha comunque sempre una valenza politica, anche senza volerlo, nella sua innata radicalità. Riuscire a essere oltre le categorie, esprimere un pensiero puro, credo sia in sé un atto fortemente politico».
Nel suo lavoro per il Padiglione Italia della Biennale Arte lei si è ispirata a sua nonna che fu staffetta partigiana. Nessuna contraddizione?
«Si intitolava Mute vette. Un riflesso che brilla da una mente all’altra.È legato alla storia di mia nonna che viene da una famiglia contadina dell’Appennino bolognese e quindi ha molti ricordi legati alla Resistenza. Racconta di come i bambini venivano mandati sulle colline a fare da vedetta per segnalare l’arrivo dei tedeschi. Per farlo usavano degli specchietti per riflettere la luce a distanza. Io e Kali Malone per l’installazione di Massimo Bartolini abbiamo integrato musicalmente con un “ostinato” – cioè con un botta e risposta a distanza – tra due organi.
Che dialogano e creano così questa comunicazione a distanza».
Lei ha una formazione molto particolare: studi classici, ma poi ha proseguito per altre strade.
Come ha incontrato l’elettronica?
«Sono di Bologna dove, quando ero studente universitaria, c’era una scena musicale molto vivace legata ai linguaggi più contemporanei.
Così andavo a concerti di avanguardia, ma anche rock, metal, noise o di musica elettronica sperimentale. C’era un festival che si chiamava Net Magic legato a un centro sociale, il Link, che presentava spesso progetti multimediali con una forte componente visiva, oltre che sonora. Ricordo un giorno in cui stavo andando al conservatorio in bici con la mia chitarra classica e, passando vicino a Palazzo Re Enzo, ho visto questo edificio medioevale esplodere di suoni. Era una magia di tuoni e luci misteriose».
Quali sono i suoi progetti per questa Biennale?
«Mi piacerebbe andare oltre l’idea settoriale della musica e anche oltre la linearità del tempo. Quindi affiancare la musica del presente a quella del passato. Penso che la musica, più di ogni altro, sia il linguaggio in cui facciamo esperienza di questa fluidità nelle categorie temporali. A volte ascoltiamo la musica barocca e ci sembra estremamente contemporanea. Il mio vissuto è molto legato ai linguaggi della musica elettronica, non purista: non ho una formazione solo accademica, ma lavoro a contatto con quello che succede nel mondo.
L’elettronica dialoga molto con altri generi: dall’acustica contemporanea alle frange più astratte delmetal drone».
Un altro tema a cui è molto interessata è il superamento dell’idea di genere.
«Era una cosa che mi affascinava molto agli inizi del mio percorso musicale. Nella musica più codificata c’è la figura femminile che suona il violino oppure la compositrice, ma la musica elettronica è un mondo in cui c’è sempre stata molta più apertura, forse anche perché non c’erano codici prestabiliti. Pioniere della musica elettronica come Suzanne Ciani, Laurie Spiegel e Éliane Radigue, sono state figure che, lavorando sui sintetizzatori – strumenti nuovi per quei tempi e quindi adatti a esplorare territori vergini – sfuggivano alle definizionidi genere, proponendo un’idea più fluida».
In effetti si tratta di campi in cui le donne sono state anticipatrici, penso a anche a Pauline Oliveros.
Il suo lavoro oggi a cosa è legato?
«Sono molto interessata ai linguaggi del minimalismo, quindi lavoro con la ripetizione, cercando di creare uno stato quasi di ipnosi, di trance, dove il tempo sembra sospeso ma c’è anche movimento.
Perché nella mia musica non utilizzo strutture percussive o elementi che esprimono il tempo in maniera lineare. Lavoro con pattern molto intricati, rapidi e complessi per cui c’è sempre un’idea cinematica, ma anche una sensazione di sospensione. E poi utilizzo un sintetizzatore Buchla molto vecchio che per me è una sorta di sfida perché ci sono una serie di difficoltà nell’usare questa tecnologia che però creano un legame rituale con l’oggetto».
Nella sua famiglia c’è stato qualcuno che suonava prima di lei o lei è stata la prima?
«Sì, c’è una vena musicale nella mia famiglia da parte paterna. Mio padre ha sempre suonato: sassofono e flauto traverso. Ha fatto parte della scena musicale anni ’80 con i Confusional Quartet (band molto innovativa della scena new wave, ndr), molto legati ai computer. Mia nonna era cantante lirica. Ho ricordi di lei che a Natale suonava il piano e cantava Puccini».