Corriere della Sera, 6 novembre 2024
Good Bye Joe
Se Kamala Harris sarà oggi la prima donna e prima afroasiatica presidente degli Stati Uniti d’America, il merito storico andrà al presidente democratico uscente Joe Biden. Se perderà, sconfitta dal repubblicano Donald Trump, la colpa storica toccherà a Joe Biden. Il paradosso logico è tipico della vita di Biden, attraversata da successi precoci, senatore appena trentenne, e delusioni amare, le corse alla Casa Bianca fallite a più riprese, fino alla rimonta rocambolesca del 2020, quando la copertina dell’animoso Economist lo dava sconfitto già alle primarie dal socialista Bernie Sanders. Con le parallele tragedie familiari, prima moglie e figlioletta travolte in un disastro stradale, il figlio Beau stroncato dal cancro mentre tanti lo vedevano senatore, il secondogenito Hunter imputato in processi e storie miserevoli.
Senza Biden, Harris non sarebbe stata scelta dai boss del partito democratico, l’algido ex presidente Barack Obama, la severa ex Speaker della Camera Nancy Pelosi, tutti a tifare per un candidato standard, uomo, bianco, governatore locale, non coinvolto nell’antipatia contro Biden che unisce la maggioranza degli elettori. Ma quando, dopo il penoso dibattito contro Trump, il balbettante, incerto e malinconico Biden ha tardivamente accettato il passo d’addio allora, con orgoglio da guerriero irlandese, ha nominato Harris e nessuno ha potuto farci nulla.
A pesare contro Harris, tuttavia, sarà fino all’ultimo suffragio la velenosa insoddisfazione che il Paese imputa a Biden, considerato responsabile dell’inflazione, dell’eccesso di immigrazione, della ridotta mobilità sociale, della frustrazione, fra giovani e no, che anima i populisti di Trump. La corsa 2024 è stata dunque duello con l’ombra di Joe Biden, Trump cercando di addossarla a Harris, lei provando a liberarsene, fino all’inane gaffe sui trumpiani “spazzatura” che ha imposto la sordina finale all’anziano leader.
Queste le cronache della campagna 2024, la più feroce da decenni. Ma la Storia, cosa dirà di Joseph Robinette Biden, 82 candeline da spegnere il 20 novembre, cattolico, marito dell’italoamericana Jill? In prospettiva, il giudizio potrebbe essere assai diverso dalle malevoletirate dei social media e dalle spallucce dei cacicchi dem. Di fatto, nessun presidente Usa, neppure Lyndon Johnson, 1963-1968, con il piano della Great Society, forse solo F.D. Roosevelt, 1932-1945, con la rivoluzione del New Deal, hanno varato riforme di stimolo all’economia pari a quelle che Biden ha, grazie alla bonomia da vecchio senatore, estorto al Congresso, malgrado precarie maggioranze, d’intesa con l’indipendente malmostoso Manchin. Val la pena di ricordare le dimensioni della Bidenomics,senza pari in Europa e il cui successo di crescita e occupazione invidiamo in Italia: l’ American Rescue Plandel 2021 post-Covid, 1.900 miliardi di dollari per classi povere e malati; a seguire l’ InfrastructureAct,1.200 miliardi in 10 anni per strade, ponti, porti, ferrovie, aeroporti, con il trionfale Ok 69 a 30 del Senato e Biden ora a dire nostalgico «Se avessi fatto mettere su ogni cantiere il cartello “È un progetto di Joe” mi avrebbero capito»; l ’InflactionAct per ridurre il deficit federale, il prezzo dei farmaci, rilanciando le energie rinnovabili, 800 miliardi di investimenti; ilChips Act, tecnologia e cultura, 280 miliardi di fondi.
Perché tanto sforzo statale e tanti dati economici positivi non hanno riportato Biden alla vittoria? La prima risposta va alla stanchezza, fisica e mentale, del presidente, apparso fragile a un paese spaventato dall’inflazione, emigrazione, divieto di aborto e dalle guerre in Ucraina e Medio Oriente. La seconda a un nodo psicologico, percepito bene dal critico Nicholas Lemann quando cita uno studio Pew, con il 92% degli americani che preferisce ormai la stabilità economica alla promozione sociale. Il sogno americano non è più, nel XXI secolo, crescere, è diventato non decrescere, non perdere status come capitato a troppi genitori e nonni.
Nonno Biden, malgrado le riforme di struttura, non ha saputo rassicurare gli stressati concittadini: eppure, annota il politologo Jacob Hacker, ha dissolto per sempre l’ideologia neoliberale adottata da Bill Clinton nel 1992, per affrontare i bisogni dei diseredati, sedotti a sinistra dal populismo di Sanders, a destra dal sovranismo di Trump, popolo sofferente che Obama non seppe riconoscere.
Il Partito democratico è oggi più a sinistra che venti anni fa, monito per i socialisti europei: Kamala Harris, ove eletta, dovrà decidere se debuttare seguendo Biden o tornare a Clinton. Nei due mesi che lo separano dalla pensione e dal classico libro di memorie, Joe Biden sa di avere avanti le minacce di Putin in Ucraina e delle guerre in Medio Oriente: se vince Trump sarà impotente a tutto, se vincesse la sua vice Harris, toccherà al vecchio leone l’ultimo Hurrah!