il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2024
Intervista a Eleonora Daniele. Parla del fratello autistico
Spesso la cronaca è fredda solo per chi non c’è più; è calda per chi resta e a volte sopravvive.
Eleonora Daniele affronta tutti i giorni la cronaca con il suo programma su Rai1, Storie italiane, e da oggi alcune di quelle storie sono finite in un libro, Ma siamo tutti matti?: undici casi, undici drammi legati ai problemi della psiche, undici famiglie, un’unica società, un’unica situazione di abbandono declinata sotto diverse sfaccettature.
Un’unica amara certezza: anche Eleonora Daniele e la sua famiglia conoscono in prima persona il problema.
Suo fratello era gravemente autistico.
Sono la più piccola di quattro figli, e Luigi aveva cinque anni più di me; (pausa) avevo bisogno di accendere un riflettore sul problema dell’assistenza e sulla successiva impotenza delle famiglie nell’occuparsi di vicende così complesse.
Da qualche tempo si indica la fase post-Covid come un amplificatore.
È così, e questo tema lo affronta nel libro il professor Santino Gaudio: spiega che esistono nuove patologie che stanno colpendo pure i giovani…
Uno dei temi ricorrenti è la solitudine.
Dovuta a un sistema che va aiutato; dopo la legge Basaglia (1978) tutto il sistema di cura della malattia mentale ha subito un arresto importante; oggi siamo nell’emergenza, figlia di anni e anni di deficit e tutto si è aggravato proprio per quello che stavamo dicendo prima, il post-Covid e l’allargamento di patologie e pazienti.
Tra le tante storie, nel libro c’è quella di Alberto Scagni: il suo omicidio della sorella nonostante gli allarmi ripetuti da parte della famiglia.
La mamma la sento di frequente; spesso non si comprende il dramma delle famiglie, di chi si ritrova in casa un malato mentale ed è costretto a denunciare il proprio figlio; (pausa, cambia tono) alcune denunce dovrebbero partire in automatico, d’ufficio, e non aspettare la madre o il padre.
Accade che i malati non si vogliono curare…
In certi casi scatta il Tso, ma il Tso dura quindici giorni e non risolve quasi nulla.
La vicenda di suo fratello è centrale.
Noi, fino all’ultimo giorno della sua vita, ci siamo resi conto che sono le persone a marcare la differenza, non le leggi ragionali o nazionali.
Un esempio?
Mio fratello ha vissuto vent’anni a Treviso, fino a quando, per la legge, lo hanno avvicinarlo al nucleo sanitario territoriale.
E… ?
Chi è malato vive di piccole certezze, di abitudini, cambiargli certe liturgie è sbagliato e pericoloso. Così è accaduto a Luigi.
La sua famiglia…
Vivi perennemente tra sensi di colpa e il dubbio dell’errore; poi parte delle tue energie è per combattere il sistema burocratico.
Sensi di colpa.
È una vicenda che non supererò mai e ho pensato di non parlarne più, poi ho capito che è sbagliato stare zitti, è sbagliato cedere al sistema che ti porta mentalmente a chiudere la porta di casa…
A vergognarsi.
Capita. A noi è capitato.
Nel libro intervengono vari medici.
Spiegano come le nuove droghe vanno a incidere, amplificano i drammi.
Diventano vere bombe sociali.
Molti omicidi avvengono proprio per l’abuso di sostanze stupefacenti che vanno a incidere su soggetti già pericolosi: è un’emergenza sociale; il problema è che molti soggetti, se entrano in comunità, hanno la libertà di uscire a piacimento.
Si scherma mai da questo dolore?
E come posso? Ci convivo da sempre.
Suo fratello con chi legava maggiormente?
Con me, perché ero la più piccola di casa, ma ricordo benissimo il periodo della sua adolescenza, del suo sviluppo intorno ai quindici o sedici anni: continue crisi e per fermarlo a volte eravamo costretti a bloccarlo, sennò solo mio padre aveva la forza fisica necessaria; poi ricordo gli ospedali, cosa vedevo, soggetti gravi, alcuni con il casco in testa per evitare atti di autolesionismo.
Nel libro si affrontano i paradossi della quotidianità.
Quando lo portavamo in ospedale, alcuni ci rimproveravano perché urlava, senza capire che era impossibile imporgli il silenzio.
Non ci sono reparti dedicati.
È stato pure in terapia intensiva, magari accanto a un anziano; (pausa) c’è una sottovalutazione culturale della malattia mentale.
Tutto sulle famiglie.
Oggi non può più essere così: i soggetti con patologie gravi girano per strada e la cronaca lo sta insegnando. È un pericolo generale.
In famiglia parlate di suo fratello?
Poco, evitiamo, troppo dolore; mia madre l’altro giorno gli ha portato i fiori: “Con i morti si fa”. E ho pensato: giusto, ma alla famiglia va assicurata la possibilità di vivere.
C’è una bellissima prefazione di Simone Cristicchi.
Quando l’ho letta mi sono commossa; scrive che anche lui ha camminato lungo un filo pericoloso e che solo per un attimo non è caduto nel baratro. Questo è il punto: i problemi della mente riguardano tutti, non solo poche famiglie da emarginare.