La Stampa, 5 novembre 2024
Giovanni Ferrero ricorda l’alluvione di Alba
Nella memoria della mia famiglia il ricordo dei momenti drammatici di un’alluvione è certamente qualcosa di indelebile. Questo ricordo trattiene immagini e sentimenti di grande intensità: sgomento, dolore, amarezza, timore; ma insieme anche la reazione orgogliosa e commovente di una comunità che, con umiltà e determinazione, si ritrova solidale nell’affrontare la riparazione di una ferita che ha lasciato il suo segno nella coscienza di tutti.
Se ritorno col pensiero alla storia Ferrero, questo scenario, e questa risposta, si sono verificati due volte. La prima ci riporta agli albori della nostra impresa, al settembre del 1948, quando i miei nonni, e mio padre giovanissimo con loro, assistettero alla devastazione di quella che allora, ad Alba, era una fabbrica appena avviata ma già piena di promesse. Fu un colpo durissimo, e avrebbe potuto essere una battuta d’arresto definitiva: ma i racconti in famiglia, e le testimonianze di chi allora era presente, hanno trasmesso, a noi che siamo venuti dopo, il comune senso di solidarietà e la caparbia convinzione che il valore di quell’impresa – non semplicemente economico, ma sociale e umano – era troppo grande per andare perduto.
Lo stesso spirito, la stessa consapevolezza, li ho potuti sperimentare di persona, nel novembre del 1994, trent’anni fa. È la storia che conosciamo e oggi rimemoriamo: le piogge, il fiume, il fango avevano nuovamente portato disastro e disperazione nell’albese. E nuovamente lo stabilimento Ferrero era allo stremo, desolato, sommerso, devastato. In quel frangente, abbiamo potuto constatare quel profondo e diffuso senso di responsabilità e disponibilità, quel coinvolgimento che superava la dimensione personale e privata e si esprimeva all’interno di una visione collettiva e comune, per opporsi allo sconforto e alla rinuncia. Ci ripensiamo ogni volta con meraviglia e gratitudine: nel dramma luttuoso di quelle giornate è stato un onore e un privilegio poter assistere e partecipare a una tale dimostrazione di unità di spirito e intenti da parte di tutti, fianco a fianco: lavoratori e amministrazioni, cittadini e istituzioni. Vorremmo saperlo trasmettere a nostra volta, questo senso di comunità, nel suo significato più autentico, a quanti oggi si accostano alle celebrazioni di questo trentennale: è un tratto distintivo di questa terra e di questa popolazione, e ha contribuito a segnare nei decenni lo sviluppo della Ferrero.
Oggi l’immagine sorprendente dei lavoratori che si presentano ai cancelli della fabbrica, pala e stivali, con la stessa urgenza e la stessa cura che si riserva alla propria casa – persino prima che alla propria casa! – è diventata esemplare, viene spesso citata nelle rievocazioni di quei giorni, e resta nella memoria e nei cuori di tutti.
E ci tornano in mente le parole, molto schiette e spontanee, che scegliemmo di usare pubblicamente mesi dopo, quando, come famiglia Ferrero, sentimmo il bisogno di ringraziare, simbolicamente ma sinceramente, tutti coloro che avevano collaborato alla riattivazione della Ferrero albese. In una cerimonia molto partecipata, al fianco del compianto sindaco di allora, l’ingegner Enzo Demaria, insieme con mio padre Michele, mia madre Maria Franca e mio fratello Pietro, anch’io sentii semplicemente di dire – come oggi mi sento di ripetere: «Credeteci, queste persone hanno fatto miracoli».
Vorrei approfittare per ringraziare ancora tutte le persone che in quei terribili momenti ci hanno aiutato, e tutti i collaboratori che ogni giorno varcano i cancelli dei nostri stabilimenti e uffici per fare dei piccoli/grandi miracoli. —