La Stampa, 5 novembre 2024
L’oro del Piemonte
INVIATO A MACUGNAGA (vco)
A prima vista Pestarena, frazione di Macugnaga, una manciata di casette di legno e pietra in stile walser lungo il torrente Anza, tutto potrebbe sembrare tranne che il Klondike d’Italia. Eppure basta fermarsi nella piazzetta dove sorgono un piccolissimo museo e la riproduzione del mulino a pestelli usato per triturare le rocce, per scoprire che qui c’era il bacino aurifero più grande d’Europa. Era conosciuto fin dall’epoca dei Romani, ma lo sfruttò davvero una compagnia inglese che nell’Ottocento costruì un villaggio operaio in grado di ospitare fino a 600 persone. I filoni si chiamavano “California”, “Cascate d’oro” e si producevano fino a 10 grammi d’oro ogni tonnellata di materiale estratto. Un’industria in grado di esportare manodopera specializzata in tutto il mondo: Africa, India, Canada. Ma anche di piegarsi alle esigenze belliche, durante il fascismo, e di portare in dote a Mussolini seimila chilogrammi di metallo prezioso. Tutto finì, come ricorda una targa, con l’esplosione di dinamite che il 13 febbraio 1961 uccise quattro minatori. Convincendo la proprietà, già in difficoltà a competere, a chiudere i battenti.
Oggi, dopo decenni di immobilismo, la corsa all’oro del Piemonte potrebbe ripartire proprio dove si era drammaticamente interrotta più di sessant’anni fa. La filiale italiana della Cresta Resources di Perth, Western Australia, società specializzata in ricerche geologiche, è infatti pronta a investire un milione di euro per effettuare dei carotaggi alle pendici del Monte Rosa, in località Morghen, un’area di montagna compresa fra i territori di Macugnaga e Ceppo Morelli. Tecnicamente si tratta del rinnovo di un precedente permesso di ricerca, che però si limitava a valutazioni e sondaggi superficiali. La Regione ha dato un primo parere favorevole e, se il ministero dell’Ambiente darà un giudizio positivo alla Valutazione di impatto ambientale, le operazioni potrebbero iniziare la prossima estate, o al più tardi nel 2026.
Si tratterebbe di scavare tre tunnel profondi fino a 600 metri, con un’inclinazione del 20%, a metà strada fra la miniera di Pestarena (oggi data in concessione ma non sfruttata) e quella di Lavanchetto. «Stiamo lavorando per dare tutte le garanzie che i sondaggi non provocheranno problemi ambientali» spiega il geologo torinese Franco Monticelli, che sta seguendo le pratiche per gli australiani. I timori più grossi riguardano le falde acquifere, che potrebbero essere contaminate da fuoriuscite di arsenico. Una questione che – se e quando verrà il momento di valutare una concessione mineraria vera e propria – diventerebbe di certo più stringente.
Il momento, in ogni caso, non potrebbe essere più favorevole: il ministro Adolfo Urso sta cercando di rilanciare l’attività mineraria italiana nell’ottica di una nuova politica industriale europea mentre l’oro, nelle scorse settimane, ha raggiunto la quotazione record di 2.717 dollari all’oncia, in pratica 96 dollari al grammo. Per non parlare di quanto sta succedendo negli Stati Uniti, dove la catena di supermercati Cotsco macina 200 milioni al mese di ricavi vendendo ai consumatori mini-lingotti da conservare nella cassaforte di casa.
In valle Anzasca, per il momento, si oscilla fra lo scetticismo di alcuni – i tre proprietari dei terreni interessati stanno discutendo con Cresta i dettagli del loro coinvolgimento, ma nel frattempo hanno mandato una lettera di protesta a Roma – e il possibilismo di altri. Il sindaco di Macugnaga Alessandro Bonacci è uno di loro. «Con il prezzo dell’oro alle stelle chissà, forse riaprire potrebbe essere davvero interessante. Una nuova concessione significherebbe nuove compensazioni e nuovi investimenti – riflette -. Noi per il momento stiamo a guardare e non abbiamo fatto alcuna opposizione, anche perché si tratta solo di ricerche. Quando c’era la miniera a Pestarena c’era anche il cinema, e non è che i cinema ci fossero proprio dappertutto». Anche Paolo Rigotti, titolare del bar “Dalla dispensa”, la vede allo stesso modo: «L’oro andrebbe inglobato nella nostra offerta turistica – dice -. Potrebbe essere un’opportunità non solo per l’estrazione, ma anche per l’indotto che porterebbe. Ovviamente, però, dovremmo essere certi di non avere ripercussioni negative sull’ambiente e sulla salute».
Fra i possibilisti, poi, c’è l’associazione “Figli della miniera”, che riunisce i discendenti di chi in questi tunnel sotterranei ha trascorso tutta la sua vita. «A Pestarena siamo rimasti in venti, la ripopolazione sarebbe un sogno – raccontano i gemelli Vincenzo e Guglielmo Nanni, figli, nipoti e bisnipoti di minatori –. Da bambini vedevamo i minatori passare sotto il balcone con le lanterne e poi il sabato ci facevano fare la doccia negli spogliatoi della miniera perché c’era l’acqua calda. Era un paese bellissimo, anche se da piccoli non abbiamo mai visto un anziano perché gli uomini morivano tutti prima dei sessant’anni per colpa della silicosi».
A placare gli entusiasmi, comunque, c’è il precedente bergamasco di Gorno. Gli studi diedero risultati incoraggianti ma poi tutto si bloccò perché la gestione degli scarti sarebbe stata troppo complessa e onerosa. Qualcuno, poi, avanza il dubbio che si tratti di un’operazione principalmente finanziaria. «Una concessione, anche solo sulla carta, fa crescere i valori della società che la detiene – suggerisce un broker che conosce le dinamiche dell’industria mineraria -. L’oro ha sempre fatto gola, ma i dollari la fanno ancora di più». —