Corriere della Sera, 5 novembre 2024
Biografia di Maurizio Mannoni
Certe notti a Saxa Rubra.
«Luogo piuttosto tetro, si diceva fosse sorto come carcere. Da allora non è diventato più confortevole, certo non ispira peccati».
All’ora dei vampiri.
«Col buio anzi assume un aspetto migliore, in giro non c’è nessuno, ti senti una specie di custode».
Lì dentro Maurizio Mannoni ci ha passato una vita. «Noi del Tg3 ci trasferimmo prima dei Mondiali del ‘90», calcola il giornalista e conduttore Rai, che ci è rimasto fino a settembre 2023, a pochi mesi dalla pensione. Compariva quasi sempre intorno alle 24 con Linea Notte («Chi se ne fotte», rimava il suo alter ego Mannoioni-Maurizio Crozza). Tra quelle palazzine bunker è ambientato il suo romanzo noir, dove non tutto è fantasia: Quella notte a Saxa Rubra, che esce oggi per La Nave di Teseo.
Non filava sempre liscio.
«Specie agli inizi, ancora in via Teulada 28, il nostro era un tiggì garibaldino. Con mezzi scarsissimi e giornalisti giovani, arrivati con la grande infornata del 1986».
E quindi?
«Durante la prima guerra del Golfo, con le dirette infinite, il filmato che non partiva era un classico, con il conduttore che restava con la bocca a pesce o fingeva di telefonare alla regia. Finivamo regolarmente su Blob».
Papere, figuracce?
«Non ho sparato grandi puttanate, perché parlavo piano. Venivo da Video Uno. Là sì che capitava di tutto. Ci scoppiavano in testa le luci al quarzo, ogni tanto ci prendevano fuoco i capelli in diretta».
Già a pagina 10 compare il direttore che «sembrava già vecchio ma non lo era. Solo pelato». È lui o non è lui?
«Sì, è Sandro Curzi. Poiché avevo lavorato nella televisioncina del Pci, mi riteneva un tipo affidabile e mi mise al coordinamento. “Mi affido a te, bisogna sta’ attenti”. Nessuno ci avrebbe scommesso una lira, sul suo Tg3. Facevamo i salti mortali. Dovevamo trottare. Se ne fregava di settori e competenze, ferie e riposi. Adesso si beccherebbe uno sciopero ogni due giorni».
C’è un Michele. Santoro?
«Sì. Michele è stato fin dall’inizio un condottiero. Ribelle e geniale, ha cambiato l’informazione tv. Inarrivabile».
C’è Federica. Sciarelli, no?
«Ricordo la freschezza con cui trattava la politica paludata di allora. Con quel visetto e un modo di esprimersi diretto, mai sentito fino ad allora».
Giovanna. Ovvero Botteri.
«L’avventura, il coraggio. Non amava stare chiusa in redazione, si lanciava sempre nei posti più pericolosi».
Ilaria (Alpi).
«La sua morte è stata l’elemento traumatico della nostra storia, la perdita dell’innocenza».
Bianca. Ovvio, Berlinguer. Faceva pesare il cognome?
«No. E poi ne abbiamo avuti tanti di cognomi di Botteghe Oscure. Certo, quando è diventata direttore gli è servito. Un tempo facevamo fronte comune, ci si lamentava insieme perché eravamo gli esclusi, mai promossi».
Non sempre rose e fiori.
«Con lei direttore non ho mai avuto scontri, anzi. Non gliel’ho mai detto, ma spesso l’ho aiutata, ho sopito proteste con quel poco o tanto di prestigio che avevo».
Tipa tosta.
«Applica il metodo duro e autoritario. La diplomazia non sa dove sta di casa. I più giovani ne avevano paura».
La chiamavano La Zarina.
«Forse pure io».
Sforava spesso.
«Quando conduceva Cartabianca. Mi lamentavo. Però anche lei faceva certe scenate pure peggio delle mie. Eravamo in luoghi diversi, quindi non poteva venire di persona. Sono stati scontri a distanza».
Chi è quel collega «molto simpatico» che per ottenere la promozione si accampò davanti casa «del grande capo politico»? Fuori il nome.
«Attilio Romita, lo raccontava lui. Si piazzò davanti alla villa di Berlusconi ad Arcore finché non è stato ricevuto».
E la promozione?
«Beh, è diventato conduttore del Tg1».
La Rai è piena di questuanti? Di raccomandati?
«Quasi tutti. Raccomandato è un termine lieve. Senza un via libera politico non muovi passo. Infatti non ho fatto carriera. Sarei potuto diventare direttore del Tg3, però mi è mancato lo scatto finale».
Sempre zelanti.
«Durante gli anni ‘80 e ‘90, quelli della lottizzazione più sfrenata, c’erano vicedirettori messi là con l’unico compito di piazzare la notizia del loro leader al tiggì, senza pudore».
Si definì «un lottizzato».
«Lo eravamo tutti. Pur non essendo mai stato un militante, rientravo in quota Pci».
Finì in tribunale.
«Un collega del Tg3 si ritenne diffamato e mi denunciò. All’udienza fui un bravo avvocato di me stesso. Il giudice mi diede ragione e archiviò».
Bertinotti voleva cacciarla.
«Ogni volta che lo racconto si offende e mi fa sapere che non andò così. Quando Rifondazione comunista fece cadere il governo Prodi, dissi che si trattava di “una crisi assurda”. Bertinotti, o chi per lui, chiese il mio licenziamento. Ho avuto paura, mi guardavano tutti con certe facce preoccupate. Lo ammansirono i miei colleghi di Rifondazione. Curzi? Era navigato, non si agitò».
Le ingerenze politiche.
«Ero in ballo per la conduzione di un programma di approfondimento di prima serata. Il direttore di rete mi convocò per dirmi che la proposta era stata revocata. “Il Psi non vuole, sei troppo anti-craxiano. Ci rimasi di stucco».
Non fu l’unica volta.
«Ero in lizza per la direzione del Tg3 mi scartarono perché “troppo renziano”».
Il politico più cattivo.
«Con me sono stati tutti gentili, forse perché non li ho mai aggrediti. Con Maurizio Gasparri avevo un rapporto cordiale. Idem con Marco Pannella. Ogni tanto dava buca perché si era addormentato. Berlusconi l’ho incrociato una volta sola, forse al compleanno di un collega. Disse che mi seguiva, mi fece un mezzo complimento».
Vespa o Mentana?
«Mentana tutta la vita. Per quanto Bruno sia uno dei pochi anchorman italiani. Anche Emilio Fede lo era. Poteva piacere o meno, però la sua conduzione aveva stile e personalità. Mi offrì di andare a lavorare con lui».
Ma dai.
«Sì. Ho rifiutato. Forse ho fatto male. Restando sempre in un posto diventi un simbolo, però non vai mai avanti».
L’imitazione di Crozza.
«Mi divertiva. Lui ti scava dentro, è come guardarsi allo specchio. Mi resi conto di apparire un po’ ciondolante. “Cavolo, è vero, sono così”».
TeleMeloni esiste?
«Come sono esistite TeleProdi o TeleRenzi. anche la sinistra ha messo le mani pesantemente sulla Rai, quando era al potere. Con scelte sbagliate, però cercando di salvaguardare la professionalità».
E ora?
«Questi sono arrivati senza uno straccio di idea. Hanno pensato solo a fare piazza pulita. Magari miglioreranno. Dissi a un dirigente: “Se doveste fare un bel programma di destra, sarei disponibile”. Non l’ho più sentito».
Recitò in «Habemus Papam» di Moretti.
«Nanni mi fece ripetere la scena parecchie volte. “Sì, bravo, però io la rifarei” (lo imita). Mi aggiustava il nodo della cravatta, non gli piaceva».