il Giornale, 4 novembre 2024
«Les Misérables» finalmente in Italia: a Trieste e Milano
Ci sono spettacoli di culto che posso essere spiegati in un solo modo, o forse due: assistendovi, innanzitutto. In alternativa, intuendone la bellezza attraverso gli occhi e le parole di chi vi ha assistito. Senza dubbio i quattordicimila spettatori seduti all’interno dell’Ovo Hydro di Glasgow il 5 ottobre scorso facevano parte di queste due categorie: oltremanica Les Misérables, l’opera musical di culto che da quasi quarant’anni va in scena ininterrottamente a Londra nella sua forma teatrale (ma, da qualche anno, anche in veste concertistica e semi-scenica da tour, ora in arrivo in Italia in un’edizione del tutto nuova da world tour) è qualcosa di conosciuto, assodato, respirato sottopelle.
Rappresentato in 442 città di 53 paesi, tradotto in 22 lingue, visto da più di 130 milioni di spettatori, tappa obbligata di tanti turisti a Londra, che non possono fare a meno di accomodarsi allo Stephen Sondheim Theatre (l’ex Queen’s Theatre, nel cuore del West End) dove va in scena da decenni ogni sera, «Les Miz», come lo chiamano i fan, è una storia ispirata all’omonimo romanzo di Victor Hugo – travolgente per emozioni e musica capace di far sorridere e piangere spettatori di ogni nazionalità, età, ceto. La storia è quella nota: il riscatto dell’ex galeotto Jean Valjean, condannato a 19 anni di colonia penale per aver rubato del pane per salvare dalla fame la sorella e figli di lei, la fuga dallo sbirro Javert alle sue costole
per essere scomparso nel nulla mentre era libero sulla parola, e poi il suo dedicarsi ad alcuni «miserabili», infine una rivolta antimonarchica senza speranze. Ora quella bellezza, nella forma di Les Misérables. The Arena Musical Spectacular orchestra sinfonica di 65 elementi, impianto semiscenico d’alta tecnologia, proiezioni video cinematografiche con i primi piani degli interpreti, sopratitoli in italiano – è attesa per la prima volta in Italia al Politeama Rossetti di Trieste (7-11 novembre) e al Teatro degli Arcimboldi di Milano (14-24 novembre), uniche tappe nostrane di un tour che porterà l’opera composta dai francesi Alain Boublil e Claude-Michel Schönberg, adattata in inglese dal re dei produttori del West End Cameron Mackintosh insieme al paroliere Herbert Kretzmer, in 15 paesi in tutto il mondo.
Perché questa è la triste verità: solo in Italia Les Misérables risulta ancora essere un ufo. Bene, quell’ufo atterra ora tra noi. Il Giornale era a Glagsow, alla prima tappa ufficiale del world tour, per incontrare i due assoluti protagonisti dello show – Killian Donnelly nel ruolo di Jean Valjean e Bradley Jaden nel ruolo di Javert – e assistere al «rito» che, dal 1985 a oggi, fa sì che non voli una mosca durante la rappresentazione. «Noi stessi che partecipiamo allo spettacolo spiega Donnelly sappiamo di entrare in una storia che viene da lontano, ci sosteniamo e cerchiamo di aiutarci a vicenda, facendo il tifo da dietro le quinte per ogni interprete. Una cosa curiosa che mi riguarda è che io sono arrivato a essere Jean Valjean dopo essere stato una voce che gridava da fuori scena, un cadavere sulle barricate della rivolta, uno dei rivoluzionari. La forma spettacolare di questo ultimo show è quella di saper abbinare la forza del teatro e del concerto a quella della recitazione: perché siamo sul palco in costumi di scena ma cantiamo davanti a microfoni fissi, e allo stesso tempo anche una singola lacrima sul nostro volto viene percepita dalla platea».
Il segreto di Les Misérables è, poi prosegue Donnelly «la varietà di personaggi coinvolti, nei quali ciascun spettatore può riconoscere una persona o una situazione conosciuta». Lo Javert di Bradley Jaden è semplicemente sontuoso: la scena del suicidio del poliziotto è un’autentica impresa fisica e canora, che il pubblico potrà godersi su maxischermo. «Javert – spiega Jaden – è il rispetto delle regole ma anche l’assenza di misericordia, la sete di perfezione. The law is the law and the law is not mocked, afferma: la legge è la legge e non ci si beffa della legge. In una memorabile canzone dal titolo Stars le stelle del cielo diventano il simbolo della perfezione che quest’uomo cerca: eterne, immutabili e, se sbagliano, cadono in fiamme». In fondo a tutto, in fondo all’ultima nota e all’ultimo azione di questo capolavoro, spiega Donnelly, «c’è un messaggio di speranza e amore. Aiutarsi a vicenda è la salvezza». Non a caso il verso conclusivo recita: «To love another person is to see the face of God»: amare un’altra persona è come vedere il volto di Dio.