Libero, 4 novembre 2024
Roma oscurò la scienza greca
Per gli storici, il 146 a.C. è una data fondamentale: in quell’anno i Romani chiusero la partita con l’antica rivale Cartagine, distruggendo la città; nello stesso anno si colloca anche la distruzione di Corinto; poco dopo, con l’assedio e la caduta di Numanzia (133 a. C.) Roma divenne padrona del Mediterraneo. In questo momento, tuttavia, si colloca anche un crollo delle conoscenze sofisticatissime elaborate dalla scienza greca: tale è la tesi di Lucio Russo, esposta nel saggio, Il tracollo culturale. La conquista romana del Mediterraneo (146-145 a. C.), Carocci, 288 pp., 24 euro. Di fatto, dice Russo, l’attività intellettuale dei maggiori centri ellenistici, come Alessandria si ridusse molto per vastità e originalità; la classe degli intellettuali fu decimata da uccisioni, riduzioni in schiavitù, o privata delle risorse per lavorare; e molti si trasformarono, per costrizione o scelta, in cortigiani o precettori al servizio dei vincitori. La cesura non fu istantanea, né totale: in alcuni centri, come Rodi o Pergamo, sopravvissero attività intellettuali significative, ma il crollo divenne evidente alla fine del II sec. a. C., quando si estinsero le generazioni nate prima del biennio 146-145 a. C.
Che la cultura romana fosse molto meno all’avanguardia di quella greca è un dato di fatto: per avere la misura di tale dislivello, pensiamo a un aneddoto riportato da Vitruvio, autore del De architectura. Nel V libro, Vitruvio parla delle regole seguite dai Greci per ottenere nei loro teatri un’acustica perfetta; il teatro di Corinto, per esempio, era dotato di un raffinato di risuonatori di bronzo. Sfortunatamente, nessun romano era in grado di capirne l’uso; e così Mummio distrusse il teatro di Corinto e portò a Roma i risuonatori, dedicandoli, come preda di guerra, nel tempio della Luna (V, V, 8), forse per la loro forma sferica.
Una delle perdite più gravi riguarda le conoscenze e competenze in ambito geografico. La geografia, grazie soprattutto a Eratostene (275-195 a. C.) divenne una scienza, che si avvaleva delle coordinate sferiche (latitudine e longitudine). Il crollo delle conoscenze matematiche sarà evidente con Posidonio, che prende dei granchi colossali, per esempio riducendo la misura della circonferenza terrestre, da Eratostene accuratamente stimata in 252mila stadi, a 180mila. Peggio ancora sarà con i Geographica di Strabone. Nella descrizione delle varie regioni del mondo sono riportate distanze, ma mai coordinate sferiche. Secondo Russo, tale crollo culturale sarebbe stato rimosso; ma non dobbiamo pensare che tale situazione non possa riproporsi: pensiamo a quanti milioni di persone usino passivamente tecnologie raffinate, rese disponibili da pochi “supertecnologi”; di contro, molte delle più audaci teorie della fisica non hanno ricaduta tecnologica, mentre molta tecnologia si sviluppa in modo autonomo dai progressi scientifici più recenti, sfruttando la scienza di almeno mezzo secolo fa. Il volume di Russo, pertanto, è interessante non solo per l’attenzione a un ambito del mondo classico poco familiare ai più, ma anche per l’analogia che propone fra quel mondo e il nostro.