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 2024  novembre 03 Domenica calendario

Tre milioni di spagnoli rischiano alluvioni

Mentre sgrana con tono funereo le cifre (provvisorie) della tragedia e annuncia nuovi aiuti d’emergenza – altri cinquemila militari, altri cinquemila agenti di polizia e Guardia Civil, sostegno economico “senza limiti” per la ricostruzione – Pedro Sánchez lancia un appello all’unità nazionale per affrontare la più grave catastrofe naturale che la Spagna ricordi. “Ci sarà tempo per guardare indietro e appurare le responsabilità”, dice in una dichiarazione istituzionale pronunciata dal palazzo della Moncloa. Parole da politico responsabile, quelle del premier socialista. Ma è anche vero che le responsabilità – tante, troppe – sono sotto gli occhi di tutti. E se si guarda indietro, ci sono quelle degli ultimi giorni, nella caotica gestione delle ore più drammatiche dell’abnorme Dana di Valencia, ma prima ancora le scellerate scelte politiche dell’ultimo anno di gestione regionale da parte del Pp tornato al potere con l’appoggio dell’ultradestra di Vox. E, prima ancora, decenni di scempio urbanistico. Fino ad arrivare a 67 anni fa, quando si mise riparo alla devastante alluvione di Valencia del 1957 (400 morti per l’esondazione del Turia che inondò il centro cittadino) con la deviazione del corso del fiume di 12 chilometri: un’opera imponente, che ora ha probabilmente evitato conseguenze catastrofiche per il capoluogo, ma mai portata totalmente a compimento.
Il Plan Sur, l’opera di ingegneria idraulica progettata all’epoca, si fermò nel 1973 per decisione del regime di Franco: mancava la realizzazione di un bacino capace di contenere 164 milioni di metri cubi d’acqua. Non se ne fece più niente neppure dopo il ritorno alla democrazia. Conseguenza: salvata la città, si è accentuata la fragilità della periferia. Leggerezza e incoscienza che ci portano fino all’assurdo di questi giorni. Dai bollettini dell’Aemet, l’agenzia di Stato per la meteorologia, si capiva in modo sempre più chiaro con il passare delle ore che si stava avvicinando una perturbazione di gravità eccezionale.
Ma il governo regionale del Pp guidato da Carlos Mazón non sembrava crederci fino in fondo. Tanto che martedì 29, quando l’Aemet diffuse l’allerta rossa per tutta la provincia di Valencia alle 9.41 del mattino, il presidente della Generalitat attese fino alle 20.03 per far diffondere gli sms di allarme alla cittadinanza. Errore fatale, ormai era troppo tardi. Migliaia di persone erano andate al lavoro e sarebbero dovute restare in casa, migliaia di auto circolavano per le strade e nessuno si sarebbe dovuto muovere. È vero, neppure i meteorologi avevano potuto prevedere fino in fondo le dimensioni del fenomeno atmosferico – in 8 ore è caduta una quantità di pioggia pari alla media di un anno, in alcuni paesi si è arrivati ai 600 litri per metro quadrato – ma non c’erano dubbi sul fatto che la perturbazione in arrivo fosse di proporzioni del tutto inusuali. Di fronte alla tragedia, Mazón si è mosso in ritardo. Poi si è in parte riabilitato ignorando la sparata propagandistica del suo leader Alberto Núñez Feijóo contro Pedro Sánchez e ringraziando pubblicamente il premier e il governo per l’efficacia del coordinamento nelle operazioni di emergenza. Ma il peccato originale di Mazón è un tema che farà discutere a lungo. Appena al potere, un anno fa, ha ceduto la gestione delle emergenze a Vox, partito campione del negazionismo climatico (un’alleanza peraltro rotta qualche mese più tardi). Il risultato di questa scelta scellerata è stato lo smantellamento della Uve (Unità valenciana per le emergenze) creata dalla precedente amministrazione socialista di Ximo Puig per coordinare gli interventi in caso di catastrofi naturali. Fino a poche settimane fa lo stesso Mazón lo rivendicava come un grande successo del suo governo. Un disarmante esempio di cecità ancora più grave in una regione come quella di Valencia, dove esistevano già tutti i segnali che avrebbero dovuto suggerire un perenne stato d’allerta. Si sapeva che l’aumento della temperatura del Mediterraneo aumenta il rischio di fenomeni estremi. Ma si sapeva anche, e non si è voluto riconoscere, che la Spagna un giorno avrebbe pagato caro lo scempio urbanistico degli ultimi decenni.
In tutto il Paese ci sono più di un milione di case costruite in zone a rischio, la maggior parte lungo il litorale mediterraneo, soprattutto a sudest, tra Valencia e Murcia. Colate di cemento senza controllo, a partire dagli anni Sessanta e almeno fino ai Novanta, che hanno impermeabilizzato il suolo rendendo impossibile l’assorbimento dell’acqua nel terreno. Ora ci sono quasi tre milioni di persone che vivono in zone inondabili. E trovare un rimedio sarà un sfida titanica