Avvenire, 3 novembre 2024
Haiti, la violenza non risparmia le suore
Non era solo un convento. Era il punto di riferimento per la popolazione stremata di Bas Delmas, popoloso sobborgo nel cuore di Port-au-Prince. Nonché roccaforte della più potente banda haitiana: G9, guidata dal superboss Jimmy Chérizier alias Barbecue.
È stato quest’ultimo, lo scorso marzo, a riunire le circa duecento gang in Viv Ansanm, una sorta di confederazione sotto il suo comando. Da allora, Barbecue cerca di presentarsi all’opinione pubblica nazionale e internazionale come capo di un movimento insurrezionale che lotta per la giustizia sociale, al fine di ritagliarsi un ruolo politico. Il boss, poi, ha sempre sostenuto – incluso con Avvenire – di non compiere razzie nei confronti della popolazione. Eppure i suoi uomini hanno fatto irruzione nel centro e nel dispensario dove le Missionarie della Carità, dal 1979, davano assistenza sanitaria gratuita a una media di 30mila malati l’anno, altri 1.500 venivano ricoverati. I banditi l’hanno saccheggiato e, poi, l’hanno dato alle fiamme. «Gli oggetti brutalmente rubati si trovano ancora in vendita al mercato vicino alla scuola di Saint Josep», ha raccontato suor Paesie, fondatrice della Famiglia Kizito. Un atto che evidenzia l’ennesimo superamento di una linea rossa da parte delle bande. Le Missionarie della Carità, proprio per il loro impegno per gli ultimi, erano considerate ad agosto. Almeno fino al mese scorso, quando erano cominciati gli scontri nella zona del convento. Dopo un periodo di timido calo della violenza, le ultime settimane dall’autunno si è registrato un incremento esponenziale.
Il 4 ottobre, il massacro di 115 civili a Port Sondé, nell’Artibonite, da parte della banda Gran Grief, ha segnato l’inizio di una escalation nuova e inedita. Una settimana dopo, la stessa gang ha colpito di nuovo Port Sondé durante i funerali delle vittime.
Tre giorni fa, i volontari dell’operazione don Milani, sostenuti dalla Rete Radie Resch di Padova, hanno dovuto scappare dall’Artibonite per le violenze. Di fronte all’avanzata di Gran Grief, Viv Ansanm ha sferrato una serie di attacchi preventivi nella zona di Solino, bastione di gruppi che rifiutano di unirsi all’alleanza e, dunque, potenziali alleati dei rivali. A farne le spese, come sempre nella guerra invisibile è la popolazione.
Diecimila persone sono state sfollate nel giro di una settimana. In molti casi di tratta di profughi di altre zone di Port-au-Prince costrette a scappare ancora.
L’esodo si somma al grande fiume umano che si sposta da una parte all’altra della metropoli, trasformata in prigione a cielo aperto. Almeno settecentomila persone secondo le ultime stime dell’Agenzia Onu per i rifugiati (Acnur/Unhcr). Le bande ne controllano gli accessi terrestri. L’aereo, unico modo per spostarsi, ha costi proibitivi per l’80 per cento della popolazione che sopravvive con meno di due dollari al giorno. Di fronte alla enormità dell’emergenza, la risposta del mondo continua a procedere con estrema lentezza.
La missione multi-nazionale a guida kenyana, più volte annunciata, è ancora agli inizi. Meno di ottocento dei tremila agenti promessi è effettivamente arrivata. Di questo passo, però, sembra difficile.
Questa settimana, il Parlamento di El Salvador ha approvato un accordo che prevede la partecipazione della polizia del Paese alla missione. Nessuno sa, però, quante truppe saranno operative e, soprattutto, quando partiranno. Haiti, nel frattempo, continua a dissanguarsi.