Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  novembre 03 Domenica calendario

Da Washington all’Europa

Settimana decisiva quella che si apre domani. L’America sceglie la sua nuova guida per i prossimi quattro anni, il mondo attende il responso con il fiato sospeso perché quelle americane sono le uniche elezioni nazionali che hanno effetti globali. Per quanto appannati e incalzati da rivali sempre più forti e ambiziosi, vedi la Cina, gli Stati Uniti restano pur sempre i «gendarmi del mondo» a tutela degli interessi dell’Occidente, cioè i nostri. Chiunque la pensi in modo differente legge la storia con occhiali appannati che impediscono di vedere come si stanno mettendo le cose. Stare oggi contro l’America e dalla parte di Putin tifando per una pace che in realtà sarebbe una resa dell’Ucraina, significa infatti mettersi al fianco del dittatore nordcoreano Kim Jong-un, capo di uno Stato totalitario di stampo stalinista, che a Putin fornisce armi e soldati, oltre che della repubblica islamica dell’Iran, di cui ben conosciamo i principi folli e illiberali che la guidano. In questo campo il risultato delle elezioni americane potrà cambiare la tattica, ma non la strategia, il centro dell’azione della Casa Bianca per nostra fortuna resterà sempre la supremazia della civiltà, bella o meno che sia, a cui apparteniamo. Diverso invece il discorso per quanto riguarda il futuro dell’Europa. Paradossalmente, con Trump l’Europa potrebbe ritrovarsi più debole di quanto non lo sia stata sotto Biden e di quanto lo sarebbe con Kamala Harris. Noto è infatti il distacco con cui il tycoon repubblicano guarda agli interessi economici e politici del Vecchio continente. Ma questo potrebbe rivelarsi un toccasana, una improvvisa e traumatica sveglia che costringerebbe l’Europa a darsi finalmente una mossa, a uscire dal letargo in cui è sprofondata, complice il comodo ombrello americano che dalla fine della Seconda Guerra mondiale l’ha tenuta al riparo dalle tempeste più pericolose un po’ in tutti i campi. E in questo senso, al di là delle antipatie o simpatie personali, vale la pena sperare in una vittoria di Donald Trump, uno che come ha già dimostrato sa tenere la barra diritta sulla supremazia occidentale (in fondo il suo motto «America first» questo significa), pretendendo però che altrettanto facciano tutti coloro che si trovano dalla stessa parte della barricata. Con chiarezza, senza sconti né alibi.