Domenicale, 3 novembre 2024
A Dresda una mostra di Caspar David Friedrich
Nel 1805 un pittore trentenne di Dresda, ancor poco conosciuto, manda due disegni al “Premio per artisti figurativi” organizzato a Weimar da Goethe e Heinrich Meyer. Il tema scelto per la gara sono le fatiche di Ercole, ma il giovane pittore invia tutt’altro, un Paesaggio estivo con una quercia stecchita e un Pellegrinaggio al nascere del sole, e accompagna la spedizione con una lettera in cui si dichiara consapevole di trovarsi fuori tema, ma chiede di essere esposto fuori concorso. Goethe resta così colpito dalla qualità dei due disegni da ammetterli in gara e da assegnare all’artista metà del premio in denaro. Per Caspar David Friedrich, così si chiamava il pittore di Dresda, fu quello il punto di svolta, l’improvvisa dichiarazione di grandezza, la propulsione a misurarsi con le cose alte.
Il rapporto di Friedrich con Goethe si sviluppò poi in maniera controversa. Goethe visitò lo studio di Friedrich nel 1810 (e vide lo sconvolgente Monaco in riva al mare) e il pittore ricambiò la visita a Jena l’anno successivo. Una lirica di Goethe, Il lamento del pastore, venne trasposta su tela; ma il poeta perse poco a poco l’interesse e i suoi giudizi si fecero aspri. Friedrich, dal canto suo, si inoltrava sempre più in un’estetica romantica che lasciava indietro ogni canone del classicismo.
I due disegni del 1805 sono ora esposti, insieme con moltissimi altri, in una superba mostra nella città dove Friedrich, dopo l’infanzia trascorsa in Pomerania e gli studi svolti a Copenhagen, si era trasferito nel 1798. Per i 250 anni dalla nascita sono state organizzate rassegne a Amburgo e a Berlino; ma a Dresda, più di quella dei quadri, è l’esposizione autonoma dedicata all’opera grafica a suscitare il maggiore interesse. Pensare a Friedrich significa “vedere”, a occhi chiusi, i prodigi dei colori infinitamente fluttuanti e il senso di vastità che quelle gradazioni sprigionano: eppure il magistero del disegnatore è altrettanto stupefacente e possiede una specificità insostituibile.
Come disegnatore nacque: come calligrafo, anzi, e a Dresda sono esposte le prove dell’adolescente che produce belle copie di severi precetti luterani. I quaderni del giovane sono stipati di alberi, foglie, fiori, ritratti di famigliari, persino cuffiette e scarpette: l’àmbito del disegno è un immenso laboratorio dove si stipano motivi che torneranno puntualmente (i dolmen, le rovine, le croci in posizione sommitale) e diverranno il lessico pittorico di Friedrich. Per gran parte dei fogli si attiene ai modelli celebrati della scuola sassone (Adrian Zingg su tutti); ma dopo il 1801 il disegno diviene altro dal repertorio di elementi naturali così tenacemente accumulato.
Nel 1801 Friedrich si allontana da Dresda e inizia una serie di viaggi verso il Nord, Greifswald dov’era nato, suddito del Re di Svezia, e soprattutto l’isola di Rügen, con la lama d’acciaio dei mari freddi che riverberano al lume della luna, il brivido delle foschie incolori, i dirupi di candide rocce. È allora che Friedrich scopre fuor di sé e dentro di sé l’infinito, che ne dominerà il disegno e poi la pittura (si dovrà attendere il 1808 perché egli ritenga degno di esposizione un quadro a olio). Da raccolta di elementi naturali, il corpus dei disegni si fa a quel punto regesto di forme del sublime, e ciò avviene attraverso una sperimentazione di tecniche e di stili in continua evoluzione, che letteralmente creano un altro tipo di sguardo, come se i paesaggi della Pomerania ne fossero la scaturigine.
Non si tratta solo dell’uso di strumenti ottici quali una sorta di camera oscura (come si configurasse è tuttora oggetto di dibattito), il telescopio che rende nitida la lontananza, le lenti convesse che permettono una visione panoramica di oltre 180 gradi, prefigurante il grandangolo della fotografia; e non bastano a darne ragione i precetti di strutturazione dello spazio in fasce planari orizzontali secondo gli Élemens de Perspective pratique di Pierre-Henri de Valenciennes, tradotti in tedesco nel 1803 e decisivi, secondo gli studi di Werner Busch, nella maturazione dell’artista. Sono le tecniche intrinseche al disegno a far da premessa alla visione estesa illìmite in profondità, ben prima che Friedrich si misuri con i colori a olio: è la scelta delle matite inglesi, le sole a garantire che la grafite non si scheggi, è la predilezione per la carta “wove” inventata da John Baskerville e priva di vergatura, elastica e imporosa come la membrana testacea dell’uovo; è l’equilibrio millimetrico tra l’inchiostro di seppia e altri pigmenti in toni vicini, sono le lumeggiature ottenute con il raschiamento, sono le lavature e le diluizioni: è tutto questo che permette l’illusione di chiarità smisurata e di quei gradienti in cui la discontinuità è inavvertibile, che diverranno poi l’identità stessa della pittura di Friedrich e che alle macchie cromatiche, nei decenni successivi, permetteranno di galleggiare nel vuoto come faranno, un secolo e mezzo più tardi, le campiture di colore stratificate da Marc Rothko.
Romanzo di formazione del giovane artista, i disegni giovanili di Caspar David Friedrich formano con i tardi disegni un bivalve che racchiude l’opera pittorica: torneranno negli ultimi anni di vita del pittore, che nel 1835 subisce un ictus che lo lascia parzialmente paralizzato e gli impedisce di dipingere. Riprenderà faticosamente a disegnare e questa volta saranno pagine di un diario melancolico e sconsolato, abitate da uccelli maligni, vanghe e croci cimiteriali