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 2024  novembre 03 Domenica calendario

Reportage da SanPa, ka nuova sfida è il crack

«Non ho avuto un’adolescenza facile. Sono cresciuto senza un padre, mia madre è disabile. Ma nella mia fragilità ero un ragazzo ordinato. Ero a posto, studiavo all’Alberghiero, avevo tanti amici. Poi è arrivato lui, il crack. Ho iniziato a fumare cocaina a 19 anni. Me l’ha offerta il mio fidanzato: era tanto più grande di me, una relazione tossica. Così è precipitato tutto, e nel giro di un anno mi sono ritrovato a vivere in strada. Avevo perso venti chili». Il laboratorio di tappezzeria di San Patrignano è uno stanzone colorato fatto di tavoli lunghi, ritagli, colla, forbici, e una dozzina di ragazzi tra i venti e trent’anni che provano a rimettere insieme i pezzi di una vita finita nel baratro della dipendenza. Tra loro c’è Alessio, 23 anni di Firenze. Questa è la sua seconda comunità, dopo l’esperienza del carcere. «Sono finito dentro perché ho fatto una cosa orribile: ho alzato le mani su mia nonna. Volevo dei soldi e lei non me ne dava più. È qualcosa di cui non smetterò mai di vergognarmi».
Quasi seicento ragazze e ragazzi, poco meno di trenta i minorenni, arrivati a San Patrignano dall’aprile dello scorso anno a maggio. Una comunità che sembra un paese intero. Per la popolazione, 850 ospiti, 275 dipendenti e oltre cento volontari. Sono questi i numeri della comunità fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli e che oggi si presenta completamente trasformata. Sono cambiati gli spazi, sono cresciuti i laboratori e i mestieri che si insegnano a chi arriva qui a Coriano, sulle colline a una manciata di chilometri dalle spiagge di Rimini, per curare le ferite lasciate dalle dipendenze. Le sostanze che portano verso il baratro sono cambiate. L’ultima, la più preoccupante, è il crack. Lo conferma l’ultimo report dell’osservatorio che ha analizzato le storie dolorose degli ultimi ingressi. Perché è l’unica droga che continua a crescere – il consumo è passato dal 65,2 al 67,8% – ed è quella che porta subito al tracollo. La cocaina resta la sostanza più utilizzata, seppur in calo dal 93,5 al 92%, mentre l’eroina continua a scendere: dal 39,8 al 35,5%, con l’uso della “via iniettiva”, il buco, ormai di poco sopra la soglia dell’11% tra gli assuntori. Quasi nove ospiti su dieci – l’età media è 29 anni per le donne, 32 per gli uomini – sono poliassuntori, dipendenti anche da alcol e droghe sintetiche, in testa ecstasy e allucinogeni. 
«Negli Anni 80 affrontavamo l’eroina. Oggi il vero mostro da battere si chiama crack: è una droga che isola, devastante perché raggiunge subito il cervello. Ci sono persone che erano riuscite a convivere con l’uso della cocaina anche per quindici anni conducendo una vita pressoché normale, e arrivano qui dopo pochi mesi proprio a causa di questa nuova dipendenza». Antonio Boschini, medico, è il responsabile terapeutico di San Patrignano. Spiega che «dopo il Covid la situazione è peggiorata. La cura? Dalla droga non si esce con i farmaci, bisogna lavorare sul malessere che ha portato alla dipendenza. Servono motivazioni forti per decidere di cambiare strada». Il crack non dà la sensazione di essere più performanti, anzi: allontana dal mondo e ti porta a fondo.
«Anche quando sei riuscita a farne a meno non riesci a dimenticarlo. È sempre lì, ti tenta». L’accento emiliano di Olesia non tradisce le origini russe. Mentre esce dal suo reparto – il laboratorio delle borse – conta le sigarette rimaste nel pacchetto: «Ce ne lasciano cinque al giorno, non una di più». Ha provato le prime pasticche a 14 anni, poi il fumo, la coca e l’eroina. Ma è il crack che l’ha “stesa”. A SanPa è arrivata quasi due anni fa. Rispettare le regole, almeno all’inizio non è stato facile. La cura in comunità passa da un principio semplice: «Ci vietano la noia. La sveglia alle 6,30, la colazione e poi alle 8 il primo turno nei settori – i laboratori di lavoro – Il pranzo alle 12 e poi due ore dopo si ricomincia, fino alle 17,30. Si sta tutti insieme fino alle nove e mezza, poi o si guarda un film o si va aletto. Così tutta la settimana». Ora il peggio sembra essere passato, i guai con la giustizia non ancora. «La prossima settimana devo tornare in tribunale: facevo truffe con le Postepay, l’alternativa era prostituirmi. Quando ti riduci così nulla ha più un senso, un valore. Nemmeno chi ti sta vicino, nemmeno te stessa». Il male di Olesia? «Quando ho scoperto di essere stata adottata sono andata in crisi. Mi facevo del male per fare del male ai miei genitori adottivi: volevo capire fino a che punto mi volevano bene. E alla fine ho perso il controllo».
Tra i telai della tessitura c’è Rossella. Ha 41 anni, è crollata che ne aveva 24, quando è morta la madre. «È successo all’improvviso, io conoscevo le droghe già da tempo e lavoravo a Roma. Sono subito rientrata a Matera ma lei era già in coma. Tra di noi c’erano state tante incomprensioni, non ho avuto il tempo di risolverle e questo mi ha uccisa. Mi hanno offerto del crack davanti all’ingresso di una sala giochi. È come il diavolo: sono arrivata a bruciarmi 300 euro al giorno». Un anno di SanPa a Rossella ha fatto bene: «La mia forza è il tempo: so di averne ancora poco a disposizione per trovare un mio equilibrio. Ho perso già troppe cose, non ho visto crescere i miei nipoti. Avessi conosciuto prima una realtà come questa, forse sarebbe stato tutto diverso».
Recupero e prevenzione. Dagli anni 2000 la comunità è impegnata con le scuole per sensibilizzare i più giovani – ogni anno 60 mila studenti – prima che entrino in contatto con le sostanze. Incontri a San Patrignano, negli istituti e nei teatri. L’obiettivo: evitare che un giorno abbiano la necessità di varcare le porte di una comunità. «Fino a qualche anno fa ci rivolgevamo soprattutto a ragazze e ragazzi dalla terza media in poi, oggi il target di riferimento sono gli studenti di prima» ammette Silvia Mengoli, responsabile del progetto WeFree, che vuole insegnare, attraverso le voci degli stessi ospiti della comunità, a trovare «il proprio posto nella vita». Tra i protagonisti c’è Fabrizio, 25 anni. Napoletano trapiantato a Perugia, racconta di non avere mai vissuto «un’adolescenza normale. Mi sentivo sbagliato, escluso dagli altri». Così già a 14 anni la droga è diventato il lasciapassare per intrecciare relazioni: «Per un pezzo ho condotto una doppia vita. Da una parte studiavo e lavoravo, dall’altra mi distruggevo. A 23 anni mamma e papà mi hanno sbattuto fuori di casa. Hanno detto: o ti fai aiutare oppure abbiamo perso un figlio».
Oggi Fabrizio è impegnato nel “settore” della panetteria, ma il suo obiettivo è di diventare presto un parrucchiere: «E questo per me è già un successo – sorride – Perché io, per colpa di quella roba, non sognavo più».