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 2024  novembre 03 Domenica calendario

Non è mai troppo tardi, il centenario del maestro Manzi

«Se state pensando che per aiutare un bambino a crescere in intelligenza siano necessari grandi mezzi, o chissà quale preparazione, siete in errore. Bastano i comuni oggetti che si trovano in ogni casa o in una scuola materna. Perché l’unica cosa che serve è... saper stare vicino al bambino».La grafia è chiara, le frasi sono scritte con pennarelli di colori diversi, quasi a voler sottolineare il tono da utilizzare guardando fisso la telecamera. Alberto Manzi, il maestro degli italiani, sa che dall’altra parte dello schermo ci sono milioni di contadini, artigiani, operai che pendono dalle sue labbra perché solo grazie alle sue lezioni in tv potranno prendere l’ambita licenza elementare in un Paese che conta ancora un buon quaranta per cento di analfabeti. Siamo negli anni Sessanta eNon è mai troppo tardi è la trasmissione più vista dagli italiani. Si riuniscono nei bar, nei circoli ricreativi, nella Case del Popolo. In otto anni – dal 1960 al 1968 – un milione e mezzo di persone riesce a completare il ciclo di studi primari, come si dice oggi, grazie alle lezioni di questo pedagogista e naturalista romano, sfuggito alla vendetta dei fascisti durante la guerra e diventato negli anni un “rivoluzionario” dell’insegnamento. Termine che, per altro, a lui non piacerebbe affatto.Oggi è il centenario della nascita di Alberto Manzi e sono tante le iniziative per ricordarlo. Incontri, dibattiti, mostre. Milano, mercoledì prossimo, gli intitolerà un parco giochi, la scelta più giusta per un uomo che ha dedicato tutta la sua vita a far crescere cittadini migliori. E per la prima volta, il Centro Alberto Manzi di Bologna ha deciso di mostrare i disegni “privati” del maestro e i “gobbi” che utilizzava durante le trasmissioni. Oggi vince il digitale, sessant’anni fa Alberto Manzi scriveva solo a mano. Per fortuna ha conservato tutto, perché quei fogli sono un autentico trattato di pedagogia da diffondere nelle scuole e – probabilmente – anche in qualche studio televisivo dove troppi soloni sbraitano senza sapere spesso quello che dicono. «Mai, come in questo periodo, si riesce a far tanto male ai bambini. Sembra che l’unica cosa importante sia di ingozzarli di nozioni, di strumenti elaborati. Si dice, così imparerà a fare – spiega il maestro ai telespettatori – Spesso, però, dietro questa frase c’è la pigrizia dell’adulto che non ha tempo o non ritiene importante affrontare il problema e lascia il bambino in balia di una marea di informazioni: televisioni, radio, manifesti. Aiutiamolo invece a pensare, a saper osservare, a riflettere e ragionare sulle cose. È importante che sia lui a pensare e che non impari i pensieri degli altri». Chissà cosa direbbe oggi il maestro Manzi, vedendo i “suoi” alunni persi dentro gli schermi dei telefonini, bombardati da news e video, inghiottiti da social che li tengono sempre più lontani dalla vita reale.«Con noi, a casa, era lo stesso maestro della scuola – racconta uno dei cinque figli di Alberto Manzi, Massimo, infografico per tanti anni a Repubblica – Papà ha sempre pensato che tra insegnamento e apprendimento la cosa più importante fosse la seconda. E per apprendere, non faceva altro che provocare l’intelligenza del bambino. Lui parlava di tensione cognitiva, in realtà stimolava la curiosità dei suoi alunni mettendoli di fronte a situazioni problematiche. Perché una nave che pesa diverse tonnellate sta a galla e un sassolino lanciato in acqua va a fondo? Di fronte a una domanda del genere il bambino va in crisi. Ecco, lui lo metteva in difficoltà spingendolo a saperne di più. A farlo pensare, appunto. E così faceva anche con me e le mie sorelle. Che io ricordi non si è mai seduto con noi per fare un compito di italiano o di matematica, preferiva che sbagliassimo. Perché dall’errore si impara qualcosa, se invece ci avesse dato lui la soluzione non saremmo cresciuti. Oggi vedo tanti genitori che credono di fare un favore ai loro figli rendendogli la vita più semplice, mio padre non sarebbe sicuramente d’accordo».Del resto nel metodo di insegnamento di Alberto Manzi i compiti per casa erano banditi. Imparare a memoria la regola serve a poco se la dimentichi il giorno dopo. «Capire era una conquista – aggiunge Massimo – partire dall’errore ti faceva confrontare con un’ipotesi nuova. Ecco perché, per lui, sbagliare non era di per sé negativo». Un metodo rivoluzionario, appunto, come il rifiuto alla fine degli anni Settanta di scrivere i giudizi nelle schede di valutazione per gli alunni: Manzi non lo fece mai e questo gli costò anche due anni di sospensione e il dimezzamento dello stipendio. A un certo punto decise di realizzare un timbro valido per tutti i bambini con una frase passata alla storia: «Fa quel che può, quel che non può non fa». Il ministero non la prese bene e lui, provocatoriamente, ribatté: «Non c’è problema, posso scriverlo anche a penna».Maestro, certo, ma anche educatore nelle carceri minorili – su 94 ragazzi da lui presi in cura all’Aristide Gabelli, soltanto due tornarono dietro le sbarre – poeta e soprattutto inventore di personaggi entrati nella storia della letteratura per i più giovani, dal castoro Grogh al famosissimo Orzowei, protagonista poi di una serie tv di grande successo. Senza dimenticare le lezioni tenute per più di vent’anni aicampesinos di un villaggio sperduto in Perù e l’esperienza politica da sindaco del borgo di Pitigliano, in provincia di Grosseto, negli ultimi anni della sua vita: «Si è sempre vergognato di parlare di se stesso, arrossiva quando gli facevano delle domande in tv» racconta Alessandra Falconi, direttrice del Centro Alberto Manzi che ha curato anche la mostra dei disegni “compulsivi” del maestro, alcuni dei quali potete vederli in anteprima in queste pagine. «Che dire? Che scrivo libri? Che insegno? Che faccio questo e quest’altro?» rispondeva Manzi. «Ha un significato la mia storia? Forse lo hanno di più i personaggi dei miei racconti: Grogh, Orzowei, Pedro, El loco. Loro parlano dai libri».Schivo, quasi imbarazzato da così tanta popolarità negli anni del grande boom: «Capitava spesso che ci fermassero per strada – racconta il figlio Massimo – e lo vedevo sempre a disagio. Era timido, come del resto anche tutti noi in famiglia. Pensa che in casa non avevamo nemmeno la televisione, per vedere il suo programma dovevamo andare dalla vicina. Vantarci noi di avere il papà famoso? Non ce l’avrebbe mai perdonato, del resto anche mia madre faceva la maestra nella mia scuola e per anni abbiamo fatto finta di non conoscerci, per dirti quanto eravamo riservati».Forse anche per questo a un certo punto Alberto Manzi è sparito dai radar, se n’è parlato sempre di meno, tanti non hanno idea di chi fosse e diquanto sia stato importante per la storia di questo Paese: «Il nostro obiettivo – dice Alessandra Falconi – è proprio quello di far conoscere una storia di vita capace di essere punto di riferimento coerente e alto negli ideali, in un momento di crisi dei valori e di sfiducia come quello che stiamo vivendo». Basterebbe soltanto prendere in prestito le parole di commiato di Manzi nell’ultima puntata di Non è mai troppo tardi:«Se leggere e scrivere vi servirà per ingannare gli altri, tornate analfabeti. Se aver imparato a leggere e scrivere vi servirà per mentire, tornate analfabeti. Non dovete smettere di studiare o comincerete a pensare di sapere tutto. Vi chiuderete dentro voi stessi e il vostro egoismo e sarete analfabeti laureati». Buon compleanno, maestro.