la Repubblica, 3 novembre 2024
Le mani sui musei
Stéphane Verger non è stato riconfermato alla guida del Museo Nazionale Romano, nonostante sia stato, a detta di tutti, un ottimo direttore. Come lui, sono andati a scadenza la direttrice della Pinacoteca Nazionale di Bologna, il direttore di Palazzo Reale, a Napoli, e altri ancora. Il miglior commento alle decisioni del ministro della Cultura, Alessandro Giuli, di non rinnovare i mandati dei direttori uscenti è nelle parole dello stesso Giuli, autore del saggioGramsci è vivo. Sillabario per un’egemonia contemporanea.Scrive l’allora presidente del Maxxi che conquistare l’egemonia culturale non può più voler dire – come voleva ancora dire per il pensatore sardo – conquistare le casematte ideologiche del Paese: i giornali, la scuola, i tribunali.Suppongo valga anche per i musei. Scrive ancora, il Giuli saggista, che la cultura non può essere il terreno di una guerra di trincea, per vincere la quale occorra occupare e mantenere gli avamposti strategici. Immagino che con queste parole si riferisse anche ai musei e alle altre istituzioni culturali del Paese. E quando Giuli scrive che, benché sia comprensibile che la destra, venuta via dalla zona d’ombra in cui viveva, arrivata finalmente al potere, “istintivamente miri a ribaltare i rapporti di forza e a spostare più avanti il fronte, occupando questa o quella torretta”, bisogna tuttavia “uscire da questa logica”, ebbene io presumo lo stesso, che cioè il ministro avesse in mente proprio cose come le nomine dei direttori dei poli museali più importanti d’Italia.Come mai, allora, da questa logica non sembra ancora cheGiuli si sia liberato? Può darsi che si proponesse qualcosa del genere quando, appena insediatosi a via del Collegio Romano, ha messo Francesco Spano a capo del gabinetto della Cultura. Mal gliene incolse, vista la canea che ha scatenato in quella zona d’ombra da cui sostiene che la destra sia uscita. Evidentemente qualcuno è uscito davvero, qualcun altro no. In ogni caso, sono bastate poche settimane per spingere il ministro a ripiegare, a farsi concavo e pure convesso, e a ragionare nuovamente in termini di posizioni da conquistare e occupare. Indipendentemente dal merito, dalle esperienze maturate, dai risultati conseguiti, dal lavoro svolto. Ora il ministro dice che «non ci sono giudizi di valore negativo» sui direttori non confermati, ma solo «ambizioni più alte»: chissà se si è accorto di fissare così l’asticella davvero molto in alto. D’altronde, lo aveva fatto già nel libro, non solo citando a piene mani Bobbio e Calogero, Gramsci e Olivetti, ma anche augurandosi di aver lasciato al Maxxi “una traccia indelebile di magnitudo morale”.È giusto, in effetti, pensare in grande, provare a rifondare i rapporti fra cultura e politica, ripensare la figura dell’intellettuale e cercare di portare fuori dalle sterili contrapposizioni ideologiche la destra e la sinistra.Svincolarsi dal “capestro delle direttive di partito”, così scrive Giuli, seminare dubbi e invitare al dialogo. L’importante è, nel frattempo, non scivolare sulla buccia delle prime nomine, perché è un attimo e si ritorna nell’ombra.