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 2024  novembre 03 Domenica calendario

Napoli, faceva da paciere, ucciso a 19 anni


Erano lì. Come da sempre nella sua vita. Accanto a lui. Quando Santo Romano è stato colpito da un solo colpo di pistola che gli ha centrato il petto, Gaetano e Matteo, amici e compagni di squadra, gli hanno sorretto la testa. Tremando, trattenendo le lacrime, facendosi forza. «Ci eravamo dati appuntamento a San Sebastiano perché per noi è un punto di ritrovo – racconta Gaetano – Eravamo arrivati da cinque minuti, poi saremmo andati a Napoli, nella zona del Lungomare». In ospedale sono rimasti l’intera notte. A pregare e a sperare. «Sono stato io ad avvertire la madre di Santo, l’ho chiamata io» dice Gaetano. «Ci è morto tra le braccia», sussurra con gli occhi impietriti che fissano il nulla.
E ieri notte c’era anche Simona, la fidanzata di Santo. Piange e non smette di stringere la scarpa che il suo amato indossava. «Ha fatto del bene ad ogni persona che ha incontrato nella sua vita – ha detto – Il suo non resti un nome in una lista infinita di vittime. Santo è tante cose, deve fare la differenza; voglio che per i suoi funerali ci sia un’enorme risonanza, per fare sapere a tutti chi era, cosa faceva. È morto per difendere un amico, per proteggerlo, perché lui era così». Altruista, generoso, sincero. «Perciò io lotto – ha aggiunto Simona – se i familiari ora non riescono, ci penso io. Lotto per il suo nome. Ne sono certa: avrebbe fatto grandi cose nella vita. È stato un uomo eccezionale». Poi quell’ultima immagine. «Lui a terra – dice con un filo di voce – Morto». Accanto a lei, a sorreggerla dal dolore che quasi la schiaccia, c’è anche il padre Carlo. Anche lui conosceva bene il 19enne. Lo ha descritto come «un ragazzo d’oro, che pensava al lavoro, alla famiglia, alla fidanzata e allo sport. Uno sportivo da sempre, un calciatore. Con mia figlia si conoscono da quando aveva 13 anni, ma io lo conosco da quando ne aveva sette. L’ho visto crescere».
E il lutto devastante non trova mai risposte giuste, specialmente in casi come questi: «Non si può morire per una scarpa schiacciata, è proprio assurdo, è una situazione paradossale. Ma quanti ancora ne devono morire? Purtroppo, questi ragazzi sono dappertutto, forse sono anche più dei ragazzi perbene. Non è possibile aver paura di far uscire i propri figli da casa per andare a mangiare una pizza o un panino e non sapere se torneranno. Erano insieme alle fidanzate, erano lì per divertirsi e passare una serata spensierata. Santo ha anche cercato di stemperare gli animi. La risposta è stata una violenza inaudita».
E poi c’erano quelli che lui chiamava i «fratelli». I compagni della squadra del Micri che milita in Eccellenza. Una famiglia più che una squadra di calcio, come conferma il presidente Michele Visone. «Erano usciti insieme. Loro sono cresciuti assieme e poi hanno avuto la capacità di far entrare nel loro gruppo ogni anno anche i ragazzi più piccoli. All’ospedale c’erano 300 persone, tutti amici. Vicini e stretti in abbracci commoventi e silenziosi». E anche lui parla di Santo come «un ragazzo per bene, con le spalle larghe. Era un portiere molto capace. E il suo modo di essere ha fatto sì che diventasse un leader positivo nella squadra, anche se non era il più grande della squadra, era uno dei più seri».