Corriere della Sera, 3 novembre 2024
Nel resort dei militari italiani in Albania
Shëngjin(Albania) Non sono ancora le sei del pomeriggio e il sole si è tuffato nel mare colorandolo di un rosso intenso. La vista è mozzafiato appena si entra nel cortile del Rafaelo, a Shëngjin, nord Albania. Da qui tra viali pedonali e siepi ben tenute ci si dirige ai diversi hotel e resort del gigantesco complesso alberghiero, moderni palazzoni e piscine all’aperto. In fila ci sono già dei poliziotti al self service del Rafaelo Executive. È qui e all’hotel Comfort che alloggiano le forze dell’ordine italiane – poliziotti, carabinieri e finanzieri – impegnate nell’attuazione del protocollo Roma-Tirana per la detenzione oltre Adriatico dei richiedenti asilo. All’ora della merenda, una trentina di loro sta scegliendo la cena a buffet. Pasta all’arrabbiata e in mille altri modi, pizza, tonno, insalate varie, dolci assortiti, bevande, niente alcol. «Non possiamo fare diversamente, poi inizia il nostro turno di lavoro» abbozza un poliziotto. Moro, sulla trentina, si mette seduto da solo a uno dei tanti tavoli ricoperti di velluto celeste davanti a una pizza. Ci accomodiamo di fronte: quale lavoro stanno facendo, vorremmo sapere, visto che i due centri aperti qui da Roma per «delocalizzare» i migranti da due settimane sono vuoti. Il giovane viene redarguito da un collega più anziano che si avvicina proprio per zittirlo.
Passa una mezzora e fuori si forma un capannello di agenti per fumare. Non deve essere facile essere in trasferta e ritrovarsi al centro delle polemiche in Italia, buttiamo lì. «Noi qui siamo fuori da tutto» chiarisce un poliziotto, grandi baffi e aria bonaria. «Non possiamo parlare, ci spiace», taglia corto un collega.
Ancora una volta, come prevedibile, le bocche sono cucite. A stupirci invece è che il silenzio venga imposto anche a chi qui dentro non porta la divisa. Antonio, un albanese dal fisico atletico e la parlantina schietta, collabora con i nostri. «Non hanno l’aria di chi è in vacanza come ho sentito dire dall’Italia, invece li vedo come spaesati» stava raccontando, quando è stato interrotto dalla telefonata di un poliziotto, piantato a una trentina di metri da noi, davanti a uno dei cellulari parcheggiati all’ingresso del complesso. Così anche Antonio è costretto a lasciarci.
Al centro del piazzale, in cortile, una Statua della libertà alta venti metri promette «ospitalità e comfort come a casa» mentre si sente il canto dei muezzin: nel complesso ci sono anche profughi afghani per un altro accordo firmato con gli Stati Uniti dall’intraprendente Rama. Raggiungiamo il centro benessere: una sequenza di stanzette per bagno turco e sauna che sbuca in una grande piscina. È deserto, c’è soltanto un poliziotto.
«Si è montata una polemica come se gli agenti stessero tutto il giorno in ammollo. Non è certo così. E comunque l’ingresso alla spa non è compreso nella quota pagata dallo Stato, soltanto vitto e alloggio lo sono» chiarisce Felice Romano del sindacato di polizia Siulp. «Le nostre forze dell’ordine non possono circolare armate in Albania e non è che ci si senta sempre al sicuro in questo Paese di ex scafisti».
Tra l’altro, a parte qualche bar nei paraggi, non ci sono grandi diversivi fuori stagione in questa piccola località turistica. «Per uscire avrebbero bisogno di mezzi propri che non hanno» spiega Pietro Colapietro, segretario generale del sindacato Silp Cgil. «Il servizio reso all’estero comporta sempre un disagio, altro che vacanza. E l’indennità di trasferta di 100 euro oltre la paga base compensa solo in parte questa fatica, perché comprende tutto, dal lavoro festivo a quello notturno e straordinario». Riguardo alle polemiche sui soldi spesi per i resort, Colapietro è perentorio: «Questi hub all’estero sono costosissimi, e sguarniscono i servizi in patria. Sull’operazione in generale abbiamo tante riserve ma la scelta degli hotel è una scelta di dignità. Questi resort sono stati preferiti perché grandi abbastanza per ospitare fino a 300 agenti e perché i più vicini al posto di lavoro». Che gli standard alberghieri albanesi siano da parametrare lo si capisce anche dal fatto che al Rafaelo Executive in stanza non c’è il telefono: per contattare la reception bisogna scendere nella hall. Ma questo non basta ad attenuare la rabbia dei colleghi della polizia penitenziaria in servizio a Gjader, sistemati nei prefabbricati del minicarcere del centro di permanenza e rimpatrio per migranti. «Avrebbero diritto a stanze singole, invece sono doppie e destinate a diventare triple se il progetto andrà a regime» spiega Gennarino De Fazio, sindacalista della Uilpa.