Avvenire, 2 novembre 2024
Nella sfida fiscale tra reddito e patrimonio a vincere devono essere equità e rispetto
Responsabile della redazione Economia
Gentile Direttore, sono un trentenne lettore di Avvenire e vi scrivo provocato dall’articolo “Tassare le cose o le persone? Viaggio nella resistenza alla patrimoniale” di Pietro Saccò, che ho trovato molto interessante. Un contributo di valore perché arrischia un parere impopolare per proporre una strada che smuova dalla situazione attuale, ma al contempo, leggendolo, mi è parso che non tenga conto di un fattore importante; ho quindi pensato di prendere carta e penna non per amore di polemica, ma per stimolare un dialogo a riguardo, interessandomi il parere dell’autore.
Secondo me, nel trattare del cosiddetto “effetto dotazione”, non si è tenuto conto che esso ha origine dal fatto che le cose, detta in parole povere, sono state a loro tempo “guadagnate”. Nella distinzione che viene fatta tra cose/dotazioni e redditi, viene quindi trascurato che le cose sono quasi sempre ottenute tramite un reddito, che a suo tempo era già stato tassato (e quando non le si è pagate con dei soldi, normalmente sono comunque costate del tempo o uno sforzo, ma qui divagheremmo).
Faccio un esempio per spiegarmi meglio: ipotizziamo che io e le mie due sorelle guadagniamo lo stesso identico reddito ma vediamo la vita in modo diverso; io desidero lasciare ai miei figli una casa per avere un punto di partenza solido per affrontare la vita, mia sorella Cecilia desidera mettere da parte tutti i soldi necessari a garantire un’istruzione di alto livello ai suoi figli, mia sorella Costanza ritiene che per i suoi figli non ci sia ricchezza maggiore che aver conosciuto le diverse culture presenti nel mondo, perciò spende tutto per viaggiare con la sua famiglia.
Ci troviamo tra vent’anni nel momento in cui i nostri figli stanno per uscire di casa, io ho quasi finito di pagare i serramenti della casa che ho costruito per i miei, Cecilia sta raccogliendo gli ultimi spiccioli per coprire fino al quinto anno di università dei suoi, Costanza non ha un centesimo sul suo conto, ma i suoi figli sono dei tipi umanamente ricchi e preparati ad affrontare le circostanze più diverse. In questo momento arriva la famosa tassa patrimoniale.
È chiaro che essa colpirà solo le “dotazioni”, quindi io subirò un prelievo per la seconda casa, Cecilia vedrà intaccati i suoi risparmi sul conto corrente, mentre Costanza sarà indifferente al prelievo.
Esasperiamo il ragionamento, perché, quasi sempre, chi sostiene la tassa patrimoniale, con gli stessi criteri logicamente tende a sostenere anche la tassa di successione.
Se io e le mie sorelle malauguratamente morissimo il mese successivo alla tassa patrimoniale e vigesse una tassa di successione, la mia casa e i risparmi di Cecilia condurrebbero ad un nuovo “prelievo forzoso” da parte dello stato, mentre ovviamente ciò non succederebbe con Costanza, essendo lei sostanzialmente nullatenente.
Ora io mi chiedo: di fronte alla stessa fatica fatta per guadagnarsi la giusta mercede e di fronte a tre “investimenti sul futuro” diversi, è giusto che in due casi essi vengano tassati tre volte (reddito, patrimoniale e successione) e nel terzo caso vengano tassati una volta sola (reddito)? Non è forse più giusto tassare solo il reddito (secondo i criteri di progressività indicati dalla Costituzione) e lasciare a ciascuno la libertà su come usarlo? Anche perché io ho cercato di fare tre esempi virtuosi di uso delle proprie ricchezze, ma, in una società consumistica come quella di oggi, purtroppo al posto dell’attitudine rappresentata da Costanza si può facilmente trovare lo sperpero di tutti i propri guadagni in oggetti di “pronto consumo”, il risultato sarebbe indifferentemente un risparmio zero, ma senza alcun arricchimento culturale. Di nuovo mi chiedo, questa volta dal punto di vista educativo: è giusto che lo Stato “castighi” di più chi più desidera investire sul futuro e magari tentare di costruire qualcosa? È giusto insegnare che è meglio spendere che risparmiare?
Gentile Carlo, il direttore mi ha girato la sua bella lettera e la ringrazio per la ricerca di dialogo e la stimolante argomentazione. Resto sul suo esempio: non è del tutto vero che il fratello che compra un’abitazione ai figli viene tassato tre volte (reddito, patrimonio e successione, nella sfortunata circostanza della sua morte) e la sorella che invece fa viaggiare i propri figli è tassata una volta sola. Perché anche il consumo – comprese le spese per i viaggi – ha le sue imposte e precisamente il gettito dell’Iva, che è la più classica forma di tassazione dei consumi, ha portato ben 175 miliardi di euro al bilancio pubblico nel 2023. Sono quasi 10 volte i 18 miliardi di gettito dell’Imu, la più rilevante imposta patrimoniale in vigore in Italia. L’Iva, pur essendo una delle imposte più evase, è certamente meno impopolare dell’Imu. Credo che qui torniamo alla psicologia dell’effetto “dotazione”: così come per i redditi, anche quando le imposte colpiscono i consumi sono probabilmente più “accettabili” perché prelevano i soldi nel momento in cui si “muovono”. Invece le patrimoniali toccano il denaro quando è fermo, magari immobilizzato in una casa o parcheggiato in un deposito bancario. Paghiamo le imposte quando facciamo acquisti inevitabili come gli assorbenti per le donne e i pannolini per i neonati, ma non quando ereditiamo una casa che vale 999mila euro: la normalità delle nostre regole sembra assurda.
Direi che il punto è guardare al denaro e ai beni materiali come qualcosa che è comunque in movimento, anche quando sembra fermo: è in ogni caso un flusso che si muove nel tempo. Le scelte fiscali sono riscritte ogni anno dai governi, ma i loro effetti durano nei decenni, come testimonia in maniera mastodontica il nostro debito pubblico. La Repubblica Italiana nel 2021 si è fatta prestare 6,9 miliardi di euro emettendo un Btp che finirà di rimborsare nel 2072: i soldi li abbiamo già spesi, anche in servizi ai cittadini di oggi, ma chi di noi fra mezzo secolo sarà lì a chiudere questo pezzo di debito? E chi ha maggiormente beneficiato del debito pubblico accumulato con una spaventosa progressione dagli anni Ottanta in avanti? Chi deve contribuire di più allo sforzo collettivo per ridurlo? A mio giudizio, le imposte patrimoniali, nelle loro varie forme, sono parte della risposta a queste domande proprio perché contrastano con l’idea del “chi ha avuto, ha avuto e chi ha dato, ha dato” a cui rischiamo di abituarci in un Paese benestante che invecchia. Ogni volta che le tasse salgono – come purtroppo quasi sempre succede – chi ha avuto la fortuna di esserci prima, quando lo Stato era meno esigente e più generoso, ha ottenuto un oggettivo vantaggio rispetto a chi è arrivato dopo. L’idea di appesantire il carico fiscale sulla proprietà e sulle rendite per poterci permettere di alleggerirlo sui redditi non nasce dal principio di colpevolizzare i ricchi né di incoraggiare il consumismo, ma dall’usare anche la leva delle tasse per ribilanciare lo squilibrio economico tra le generazioni, che in Italia si sta facendo acuto ed è uno dei fattori che restringe le prospettive di futuro del Paese. Certo, occorre muoversi con cautela. La tutela e l’incoraggiamento del risparmio sono previsti anche dall’articolo 47 della Costituzione: non si tratta di fare maxi-prelievi straordinari e coatti, che pure abbiamo conosciuto in passato, ma più semplicemente di aggiustare la politica fiscale per renderla più equa e capace di spingere la produttività e la crescita. Non è la ricchezza a mancare nell’Italia di oggi, ma piuttosto la capacità di generarla. Se riconosciamo che il problema è questo, abbiamo bisogno di soluzioni adeguate