Avvenire, 2 novembre 2024
Ultime notizie sulla battaglia contro gli pfas
Sono decine da tutta Italia i comitati, le associazioni e i gruppi che si sono riuniti in questi anni per affrontare l’emergenza Pfas. A chiamarli a raccolta, due settimane fa a Firenze, è stata l’ong ambientalista Greenpeace. Gli acidi al centro di numerosi casi di inquinamento – a partire da quello celebre dell’Ohio che nei primissimi anni Duemila ha coinvolto il gigante della chimica Dupont, condannato a risarcimenti milionari nei confronti dei cittadini il cui sangue è stato contaminato dalle sostanze disperse nelle acque superficiali. Oggi l’emergenza Pfas nel nostro Paese non riguarda più solo il Veneto, dov’è scoppiata nell’ormai lontano 2013 e dov’è presente la più grande contaminazione finora registrata, in un’area che comprende ben 400mila persone.
«La nostra battaglia oggi ha un unico grande obiettivo: l’Italia deve dotarsi finalmente di una legge che metta al bando queste sostanze – scandisce Michela Piccoli, storica rappresentante delle “Mamme No Pfas” –. Nel nostro Paese c’è immobilismo da parte delle istituzioni rispetto a una questione che riguarda tutti, così stiamo chiedendo ai municipi di fare pressione sul Parlamento attraverso una mozione». La campagna è partita da Nord Est a maggio, ma ha già raggiunto il Piemonte, dov’è noto il caso di Spinetta Marengo, ad Alessandria, con il sito produttivo Syensqo – spin off di Solvay – ritenuto uno dei più inquinanti d’Europa, che ha visto nei mesi scorsi prima uno stop della produzione e successivamente una ripresa nell’attività degli stabilimenti, dopo il via libera rilasciato dalla Provincia diAlessandria.
Una nuova minaccia
Greenpeace, proprio in queste settimane, è impegnata nella campagna “Acque senza veleni” che la sta portando in 220 Comuni in tutta Italia per valutare la presenza di questi inquinanti nelle acque a consumo umano. «Stiamo accendendo la luce in una stanza buia – spiega Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento dal 2015, che in questi giorni raccoglie campioni in Sardegna –. Sono pochissimi i posti in cui le Arpa, le Agenzie regionali per la protezione ambientale, conducono misurazioni frequenti, abbiamo invece regioni come Calabria e Molise di cui non abbiamo dato alcuno, mentre la Puglia ha condotto 4 misurazioni in cinque anni».
L’iniziativa è partita dopo che l’ong ha diffuso nelle scorse settimane una raccolta di rilevazioni condotte da enti pubblici, ma pubblicate prima solo in parte. «Ci sono casi eclatanti – riprende Ungherese – come la presenza di Pfoa, dichiarato cancerogeno dallo Iarc nel 2023, e di C604, molecola di nuova generazione, in ben 77 Comuni della Città metropolitana di Torino, oppure in località montane apparentemente prive di sorgenti di contaminazione come Bardonecchia». A Chiomonte, paese noto per il cantiere della Tav Torino-Lione, si sono rilevati 80 nanogrammi per litro d’acqua, valori pari alla zona rossa del Veneto. A Lucca, invece, i valori superano i 55 nanogrammi, oltre la soglia consentita degli Usa. I Pfas sono una sterminata famiglia di composti usati per cosmesi, tessuti idrorepellenti, sanità, schiume antincendio. Così vengono alla ribalta sostanze finora sconosciute. «Il Tfa, l’acido trifloruro acetico, rappresenta ora la vera preoccupazione. Ha una molecola cortissima, con soli uno o due atomi di carbonio, così non lo bloccano nemmeno i filtri a carboni attivi che in questi anni hanno permesso al Veneto di consumare acqua dall’acquedotto. Ha molte origini tra cui teflon, inceneritori, gas refrigeranti presenti nei frigoriferi e laddove si rileva è presente in concentrazioni altissime, tipo mille nanogrammi al litro».
I controlli? Carenti
A Vicenza, nel frattempo continua il processo penale per avvelenamento delle acque potabili a carico di 15 manager di diverse epoche dello stabilimento Miteni di Trissino che secondo la Procura berica è la causa dell’inquinamento delle falde tra le province di Verona, Padova e Vicenza. Giovedì 17 ottobre ha deposto in aula il patologo forense Roberto Testi, consulente di Mitsubishi, già controllante di Miteni. Nessuna delle 288 parti civili – è la sua tesi – avrebbe prodotto documentazione atta a dimostrare il nesso di causalità tra esposizione ai Pfas e sviluppo di una qualche patologia. Eppure, come detto, l’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro, oltre che definire cancerogeno il Pfoa ha classificato come potenzialmente cancerogeno il Pfos. Alla base di tutto questo c’è l’assenza di uno studio epidemiologico. Il biomonitoraggio in corso ad Alessandria in oltre un anno ha coinvolto appena 29 persone, mentre in Veneto oltre 80mila cittadini sono sottoposti al solo biomonitoraggio, che si limita a misurare il livello di Pfas nel sangue senza indagare approfonditamente le conseguenze. Lo scorso 16 aprile, il professor Annibale Biggeri, ordinario di statistica medica a Padova, ha pubblicato sulla rivista internazionale “Environmental Health” uno studio condotto su 60mila cittadini e ha dimostrato come, nei Comuni della zona rossa della contaminazione in Veneto, negli ultimi 34 anni si sono verificate ben 4 mila morti in più rispetto alle attese