il Fatto Quotidiano, 2 novembre 2024
Sergio Leone scelse Clint Eastwood perché costava poco
“Un caffè, grazie”. “Per me è tardi, prendo un succo d’ananas”, sorride Claudia. “Subito”, risponde il barista. “Ve li faccio portare al tavolo”. Attorno, piazza di Pietra scintilla nel sole di ottobre come incisa su una coppa di vetro, striata d’oro, limpida e bianca. Sulla sedia di fronte, gli occhi verde giada di Claudia Sartori stanno al mondo come fa il centro di Roma: immuni alle ingiurie del tempo. “Eh, magari. Ho 88 anni, la memoria non è quella di una volta”.
Per un pugno di dollari quest’anno ne ha compiuti 60 e Clint Eastwood a 94 sta per uscire in Italia con il suo ennesimo film da regista, Giurato numero 2. Non fosse stato per lei, non staremmo qui a parlarne.
Guardi, è passato tanto tempo. Ma credo che sia proprio così.
Era il 1964.
Allora facevo l’agente cinematografica. Ero tornata da Parigi dove avevo fatto l’indossatrice. Lavoravo per Pierre Balmaine. Ero andata lì perché in Italia volevano solo ragazze da un metro e ottanta. Ma anche per la Francia ero piccolina. Così ero tornata a Roma e mi ero messa a lavorare per l’agenzia William Morris. Eravamo in cinque. Una mattina Sergio si era presentato in ufficio. Era teso.
Teso?
Si sedette e mi disse: ‘Ho una bella storia. Come protagonista vorrei Henry Fonda, ma non ha risposto. Chissà se quelli della Jolly Film (casa di produzione, ndr) gliel’hanno fatta arrivare, l’offerta’. Fumava, nervoso. ‘Allora gli ho chiesto James Coburn, ma mi hanno detto che costa troppo. Questi non vogliono spendere’. Gli avevano proposto pure Richard Harrison, ma non lo volle. ‘Sta qui in Italia perché in America non lavora’.
Sconsolato.
Era arrabbiato perché era convinto della bontà della storia. ‘Che vuoi fare?’, gli chiesi. ‘Mi hanno detto di prendere uno sconosciuto che abbia il fisico e costi poco. Ventimila dollari al massimo. Se possibile, anche meno. E io sono venuto da te’.
E lei?
Cercai di sapere qualcosa più: ‘Dammi almeno qualche elemento: di che età lo vorresti, l’altezza, le esperienze…’. Ma lui tagliò corto. ‘Cercamene uno te, e ci penso io’. E se ne andò.
Da dove iniziò a cercare?
In agenzia avevamo un grande archivio che occupava un’intera parete. Conteneva centinaia di schede e fotografie di attori e attrici. Ne tirai fuori alcuni e cominciai a guardarle. E trovai lui. Aveva gli occhi chiari e stretti come due schegge di pietra. Portava questo grosso cappello (Claudia fa un gesto circolare con la mano attorno alla testa, ndr), era vestito da cowboy. Allora pure i registi italiani si erano messi a girare i western. Poi Sergio rivoluzionò il genere. Insegnò agli americani un nuovo modo per farli.
Quindi il mito di Eastwood e Leone nacque da quell’archivio. Per caso.
Sì, da quegli scatti. Ricordo che a Sergio, Clint piacque subito: ‘Bene. Senti quanto vuole’. Credo che chiusero per 15 mila dollari. A Fonda avrebbero dovuto dare dieci volte di più.
Un affare.
Una scommessa, all’epoca fuori dall’America Eastwood non lo conosceva nessuno.
Com’era il giovane Clint?
Quando arrivò a Fiumicino da Los Angeles ci trovammo di fronte questo ragazzo bellissimo, alto quasi due metri (è 193 cm, ndr). Però quando l’ho visto mi sono spaventata.
Perché?
Aveva un sorriso da cavallo! Pensai: ‘Oddio, appena lo vede Sergio lo rimanda in America’.
Un sorriso da cavallo?
Sì, aveva denti piccoli e quando sorrideva scopriva le gengive.
E Leone? Come la prese?
In aeroporto non era venuto, poi lo incontrò a Roma. Così il giorno dopo lo chiamai. ‘Sergio, l’hai visto? Com’è?’. Tremavo. ‘Ha una gran faccia e mi piace come cammina. Ci si può lavorare’. ‘Meno male. Ieri all’aeroporto ho temuto il peggio, perché è un bel giovanotto ma ha i denti piccoli e ogni volta che ride mostra tre dita di gengive’. E Leone: ‘Non preoccuparti, gli metto un bel sigaro in bocca e non si vedrà niente’. E così è andata. Dovendolo tenere tra le labbra, il sigaro gli impediva di mostrare i denti e gli deformava la bocca nel ghigno che ha reso famoso il suo personaggio.
Il sigaro è nella Storia…
E chi se lo immaginava. Era uno preso a due lire perché gli attori famosi costavano troppo. In America lavorava in uno sceneggiato tv (Rawhide, in italiano Gli uomini della prateria, ndr). Ma era uno dei tanti, ecco perché costava poco. Quello di Leone era un film di recupero e i produttori volevano spendere il meno possibile.
Un film di recupero?
In quegli anni, con le stesse scenografie e gli stessi costumi spesso si giravano due film: uno principale, che secondo i produttori sarebbe andato bene al botteghino, e uno a basso costo i cui incassi servivano a recuperare una parte delle spese di quello principale. (Per un pugno di dollari era il film di recupero de Le pistole non discutono di Mario Caiano, ndr).
Senza di lei il mito di Eastwood forse oggi non esisterebbe.
Dice?
Lo dice lui. Una ventina di anni fa tornò a Roma per un premio e disse: “Se non fossi venuto qui a lavorare con Leone, Morricone, Dallamano, Delli Colli chissà quale sarebbe stato il mio posto nella Storia”.
Se non lo avessi scelto, probabilmente per lui le cose sarebbero andate in maniera molto diversa. Chissà se meglio o peggio.