il Fatto Quotidiano, 2 novembre 2024
Che lagna i telegiornali pieni di politici che parlano a spot
Com’è penoso, com’è insopportabile, com’è inutile seguire le cronache politiche sui tg di casa nostra! 15 anni, 20 anni, di più; insomma da quanto va avanti la disgustosa abitudine di raccontare le cose della politica con la litania delle dichiarazioni spot dei suoi rappresentanti? Sinceramente ne ho perso memoria. Quel che è certo è che i giornalisti che porgono il microfono senza fare né una domanda o sollevare un interrogativo rendono un pessimo servizio al loro mestiere. Che innanzitutto sarebbe quello di porre delle domande, nel caso anche scomode. Non c’è tg che riesca a sottrarsi a questo stucchevole format che, secondo Michele Serra, ricorda le figurine Panini, con i politici ripresi in sequenza per pochi secondi mentre recitano eccitati e tronfi le loro insignificanti frasi di propaganda. Il turnover delle facce parlanti porta lo spettatore, settimana dopo settimana, a conoscerne di nuove, di facce: i toni son sempre gli stessi, le frasi sempre le medesime, però vuoi mettere la democrazia? E, come per le figurine Panini, “ah, questo non ce l’avevo”, “quest’altro mi mancava”: per lo spettatore ogni giorno l’album s’arricchisce di nuove figurine, tutte comunque impegnate a celebrare, nei pochi istanti a disposizione, la propria parte se al governo, o a criticare quest’ultimo se la propria parte sta all’opposizione. In entrambi i casi il frasario d’ordinanza è talmente insulso e monocorde, talmente infelice e ritrito, che al confronto una recita del rosario, sia detto con rispetto, appare uno spettacolo di varietà. Ma perché i giornalisti incaricati di raccogliere queste dichiarazioni non si rifiutano? Perché non si ribellano a questo modo di fare informazione? Magari l’Usigrai o l’Unirai potrebbero battere un colpo. Certo, ci sono sempre i video dei social a disposizione dei direttori, per cui un’azione del genere forse sarebbe sterile. E allora perché non lo fanno i direttori, perché non provano a raccontarci la politica in un modo non diciamo più originale ma meno stomachevole e scontato? Non lo fanno per pigrizia, per abitudine, per imposizione? Nessuno, di qualsiasi colore, che cerchi di cambiare quest’andazzo pluridecennale, nessuno che si ricordi di cos’è il giornalismo. Eppure tra i direttori di tg c’è stato, e c’è ancora, qualche bravo giornalista, eppure tra i redattori le qualità non mancano. Ci fu in passato qualche tentativo di mutare registro, come quando alla direzione del Tg1 s’insediò Lerner (che durò poco); o, andando ancora indietro nella Prima Repubblica, dove nonostante la lottizzazione si potevano vedere telegiornali ben fatti con giornalisti veri: quello di Barbato, ad esempio (memorabili le perfomances di Emmanuele Rocco, scomparso troppo presto), ma anche quelli di Fabiani o di Biagi, e non furono i soli. Oggi chi prova a sottrarsi al modello figurine Panini è il solo Mentana: i suoi telegiornali sono quelli in cui i tempi di parola dei politici risultano molto più bassi degli altri, in cui questi insomma parlano solo quando la notizia davvero lo necessita. Di recente sembra che ciò paghi anche negli ascolti che regalano al Tg La7 il quarto posto tra i telegiornali e oltre il 7% di share (anche se qualche sfumatura logorroica in meno non guasterebbe). Monica Maggioni qualche anno fa s’insediò al vertice del Tg1 annunciando solennemente l’abolizione del deprecabile ‘carosello’ delle dichiarazioni senza domande: solo che il nobile proposito presto si rivelò una presa in giro perché il ‘carosello’ dei politici uscito dalla porta rientrava dalla finestra, spalmato e diluito nei giorni ma sempre in auge, mentre le dichiarazioni erano sì precedute da domande, quelle utili però ad introdurre quanto l’intervistato aveva già in mente di dire. Alla fine erano meglio i ‘mezzibusti’ di una volta…