La Stampa, 2 novembre 2024
Biografia di Stefano La Rovere
Tutto è iniziato leggendo le avventure di Archimede Pitagorico su Topolino e giocando coi Lego Technic nella sua cameretta di Chieti. «Da piccolo sognavo di diventare un inventore, non sapevo esattamente cosa significasse. Ma quello che faccio oggi ci si avvicina parecchio». Stefano La Rovere, ingegnere classe 1983, è riuscito a realizzare il suo sogno d’infanzia: creando un lavoro che prima non esisteva. E non in un posto qualunque. Ma in Amazon, dove è direttore globale della divisione robotica e intelligenza artificiale.
Come si fa, partendo dall’Abruzzo, ad arrivare al vertice della robotica mondiale di Amazon?
«Ho sempre avuto l’ossessione di creare cose nuove e risolvere problemi trovando soluzioni innovative. Da piccolo ero affascinato dai tecnigrafi di papà, anche lui ingegnere. Ho questo ricordo di lui che lavorava squadre, osservarlo nel suo studio mi ispirava. Mi faceva venire voglia di creare. I fumetti e la passione per i Lego hanno contribuito ad alimentare questa passione infantile».
Una volta finita la scuola dell’obbligo come si è mosso?
«Dopo il liceo mi sono iscritto a ingegneria meccanica a L’Aquila, poi ho preso una specializzazione in robotica e progettazione e sviluppo. Appena finita l’università, dopo uno stage in Belgio, ho cominciato a lavorare in una multinazionale nel settore dei beni di largo consumo. Da allora ho cominciato a girare il mondo. Sette anni fa arrivò Amazon che mi chiese: “Vuoi venire a lavorare per noi e creare un dipartimento di robotica per noi in Europa?”. Io chiesi “ma che significa?” La risposta fu: “Non lo so, diccelo tu, vieni e facci sapere che dobbiamo fare”. È cominciato tutto così».
Sembra fin troppo facile.
«Quando io iniziai in Amazon sette anni fa ero da solo, la prima persona del gruppo di robotica meccatronica in Europa. Mi sono dovuto un po’ dare da fare, capire come creare tecnologia praticamente da zero. Così mi stabilii in un angolino nel magazzino di Vercelli, uno spazio in cui testare nuove tecnologie. Col tempo abbiamo visto che l’idea funzionava e è lì che abbiamo iniziato a pensare in grande. Oggi quell’angolino è diventato un edificio intero in cui sviluppiamo tecnologie e uno dei tre centri di robotica insieme a Seattle e Boston. È bello vedere come ancora oggi, nonostante le dimensioni di Amazon, l’azienda mantenga un approccio da startup. Si parte dal piccolo e poi, se l’idea funziona, si espande in tutto il mondo».
Negli Stati Uniti, a Nashville, Tennessee, Amazon ha uno degli stabilimenti più grandi e tecnologicamente avanzati al mondo a livello di robotica, confezionamento e movimentazione di pacchi. Quanta di questa tecnologia arriva dalle competenze italiane?
«Molta. All’Amazon Operations Innovation Lab di Vercelli abbiamo sviluppato una macchina capace di impacchettare oggetti di qualsiasi dimensione utilizzando il minimo indispensabile di carta. Oggi quella tecnologia è stata implementata e portata negli stabilimenti di Amazon di tutto il mondo. Sempre in Piemonte abbiamo sviluppato e perfezionato un braccio robotico con dita pneumatiche, capace di afferrare pacchi di diverse dimensioni utilizzando il sottovuoto. Quando sviluppiamo tecnologia forniamo anche formazione. A Vercelli, infatti, un centro per insegnare ai lavoratori a utilizzare i macchinari e offriamo corsi di formazione internazionali nel settore della robotica e dell’intelligenza artificiale».
Negli ultimi anni si è consolidata la credenza che il boom della robotica e delle macchine nei posti di lavoro rappresenti una minaccia per i volumi occupazionali. Cosa risponde?
«È un mito che va sfatato. La tecnologia non toglie lavoro, semplicemente lo trasforma. Attività ripetitive, faticose, come il sollevamento di carichi o spostarsi su lunghe distanze, vengono adesso lasciate fare ai robot che sono più bravi in questo genere di compiti. Invece i nostri operatori possono riallocare le loro competenze su attività più sofisticate che solo l’uomo sa fare. In questo modo i nostri dipendenti acquisiscono nuove conoscenze che possono usare per progredire nel loro percorso di carriera. Negli ultimi dieci anni oltre 50 mila posti di lavoro nei centri logistici in Europa hanno beneficiato di un miglioramento grazie all’introduzione di nuove tecnologie che garantiscono un ambiente di lavoro più sicuro e opportunità di acquisire e rafforzare competenze. Il mio stesso lavoro sette anni fa non esisteva: adesso c’è grazie alla tecnologia».
Qual è la dimensione degli investimenti annuali in ricerca e sviluppo di Amazon?
«Negli scorsi 5 anni abbiamo sviluppato oltre un migliaio di nuove macchine e investito circa 700 milioni di dollari solo in Europa. Numeri che rendono l’idea della mole di investimenti che stiamo portando avanti a livello globale».
Negli Usa Amazon è spesso criticata con accuse di monopolio e anche con pratiche non corrette sul posto di lavoro. Qual è la situazione nel nostro Paese? Anche in Italia ci sono state delle proteste da parte dei lavoratori
«Per noi in Italia la sicurezza dei dipendenti e i ritmi di lavoro sono importantissimi. E la tecnologia aiuta a creare condizioni sempre più ergonomiche e sicure. Ad esempio nell’ambito della logistica, un mondo tipicamente maschile perché fatto di sollevamenti e di movimentazione di carichi, l’innovazione aiuta a eliminare le attività più faticose consentendo anche a tutti di poter effettuare queste attività lavorative tant’è che in Italia la percentuale di impiego femminile è intorno al 35-40% molto di sopra della media nazionale che è del 22%»