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 2024  novembre 02 Sabato calendario

Emma Bonino torna a casa dopo l’ospedale

N i ente da fare. Emma Bonino è tornata a casa dopo dieci giorni di ricovero (quattro in terapia intensiva), si è seduta alla scrivania, ha acceso il computer e, nello stesso momento, ha acceso anche una sigaretta. Inutile provare a fargliela buttare via: «Non voglio prediche». In ospedale la leader radicale ci era finita per una crisi di insufficienza respiratoria. Quando è stata dimessa dalla clinica le hanno dato per questo una bombola di ossigeno da portare a casa. Nove anni fa un brutto tumore le aveva aggredito i polmoni. Ma niente da fare, le sigarette sono sempre lì, inseparabili compagne delle sue giornate.
Voi non potete fermare il vento, dice una canzone di Fabrizio De André che mette in musica la rivoluzione del Sessantotto. Lei controvento ci è andata per tutta la vita. «E adesso sto lavorando sodo per riprendere le mie attività, per portare avanti le battaglie più importanti in questo momento. Quella sulla cittadinanza per gli stranieri, quella sull’eutanasia». 
Anche in ospedale Emma Bonino non ha perso tempo, il tempo per pensare è stato tanto. Stesa sul suo letto ha riflettuto su come poter fare di più per concedere ai cittadini il diritto di decidere come morire. Lei, insieme ai suoi di +Europa, è pronta a combattere pure per dare agli stranieri il diritto di avere una cittadinanza in tempi brevi, la metà di quanto ne serve adesso. È convinta che sono battaglie che non si possono rimandare. 
È tornata a casa tre giorni fa, senza un lamento. L’idiosincrasia per la retorica è uno dei tratti principali del suo modo di essere, complicato anche chiederle semplicemente: «Come stai?». Domanda polverizzata: «Come una che esce dall’ospedale dopo dieci giorni». Un piglio inafferrabile che forse negli anni soltanto Marco Pannella è stato in grado di gestire. 
Sandro Pertini da presidente della Repubblica la volle battezzare con ironia: «È il monello di Montecitorio». La giovanissima Emma eletta con i radicali, a ventisette anni aveva varcato la soglia della Camera dei deputati con una gonnellona a fiori, gli zoccoli della protesta e, ovviamente, una sigaretta tra le dita. 
Adesso nella sua casa a Campo de’ Fiori la sigaretta se la gode anche di sera sulla sua terrazza spettacolare che guarda sui tetti della Roma storica. Lei invece guarda avanti. «Voglio recuperare le forze e voglio recuperarle in fretta, c’è tanto da fare», dice, e diventa evidente che le tante cose importanti che ha già fatto in settantasei anni di vita non le bastano. «Quando si sono conquistati i diritti non si può rimanere fermi. Rimanere fermi sui diritti vuol dire tornare indietro». Una filosofia che Emma Bonino ha sempre accompagnato a un concetto per lei importante, fondamentale: «Non si può parlare di diritti se non si parla di doveri». 
Tanti doveri da rispettare. Tanti diritti da difendere. Oggi, tra gli altri, in agguato c’è il pericolo di tornare indietro sulla legge 194, la legge sull’aborto per la quale Emma giovanissima ha combattuto mettendo in gioco il dolore privato di un aborto clandestino che all’epoca era punito con il carcere e che provocava ferite e anche morti tra le donne che si affidavano alle mammane. Fu fatta la legge sull’aborto e arrivò anche il referendum, e alla fine il diritto all’interruzione di gravidanza rimase in piedi, e questo fu possibile grazie all’impegno del Partito radicale. Emma Bonino fu l’alfiere di quella battaglia ora consegnata ai libri di storia. 
È tornata a casa con una bombola di ossigeno e la voglia inalterata di prendere a morsi la vita. Anche il piglio indomabile è lo stesso di quando lo scorso anno decise di andare in televisione per annunciare che dopo otto anni il suo tumore, un microcitoma polmonare, era stato annientato dalle cure chemioterapiche. «Ho vinto io», disse. E quella sua esuberante energia le è stata di aiuto pure dopo quella brutta e stupidissima caduta si ruppe il femore. 
Era la fine di gennaio di quest’anno e la fatica di camminare non l’ha fermata davanti all’impegno più importante. A fine febbraio proprio lei aveva organizzato una convention, tutti i leader del campo largo in un albergo di Roma. Lei ci ha provato a metterli insieme. È arrivata alla convention su una sedia a rotelle a mettere in riga Carlo Calenda e Matteo Renzi, a stimolare Elly Schlein, a sognare che il campo largo potesse essere davvero una realtà per sconfiggere la destra. Anche questa battaglia è ancora da combattere.