Corriere della Sera, 2 novembre 2024
Il Mediterraneo si scalda il 20% più velocemente degli altri mari
Trombe marine, incendi, ondate di calore, siccità, e poi cicloni e inondazioni. L’Europa meridionale ha vissuto nel 2024 una serie di eventi estremi, a conferma che l’area del Mediterraneo è in prima linea in una trasformazione che rischia di diventare normalità.
L’Europa è il continente che si scalda più rapidamente: negli ultimi cinque anni ha registrato in media un aumento della temperatura di 2,3°C rispetto all’epoca pre-industriale, ben superiore alla media globale di 1,3° (dati Copernicus). Dopo l’Artico, l’area del Mediterraneo è la più colpita dai cambiamenti climatici. E il Mare Nostrum si riscalda del 20% più velocemente di tutti gli altri. «Da queste misure si traggono proiezioni di impatto inquietanti. Siamo entrati in una fase di accelerazione esponenziale nel cambiamento dell’ecosistema, al punto che non sappiamo più cosa succederà», commenta Grammenos Mastrojeni, segretario generale aggiunto dell’Unione per il Mediterraneo. «Abbiamo alterato l’equilibrio energetico del sistema Terra con questa coperta di gas serra che lascia entrare la radiazione solare ma non la lascia più uscire nello spazio quando il pianeta la rispedirebbe, immagazzinando ogni giorno una quantità di energia enorme: a livello globale è superiore all’esplosione di 400.000 bombe di Hiroshima al giorno». In Europa, questo surplus di energia rompe i bioritmi alla base dell’eco-sistema mediterraneo e, in presenza di determinate condizioni meteorologiche – ad esempio l’incontro con masse d’aria fredda come la “gota fría” in Spagna – può diventare la miccia di eventi estremi. «Da stabilizzatore del clima, che ha permesso la grande rivoluzione agricola, il Mediterraneo è diventato motore di caos e instabilità».
«Dall’inizio degli anni ‘80, il Mar Mediterraneo si è riscaldato di circa 0,4 °C per decennio, ovvero più velocemente della media globale degli oceani. Ciò sta portando a ondate di calore marine più frequenti e gravi, soprattutto negli ultimi 20 anni», spiega Giulia Bonino, ricercatrice del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc). Le temperature più elevate della superficie del mare aumentano l’energia disponibile per i processi atmosferici, rendendo potenzialmente più probabili eventi estremi.
Le ondate di calore marine amplificano i «medicani» (uragani mediterranei): la tempesta Daniel, sulla costa della Libia, nel 2023 ha provocato il ciclone mediterraneo più mortale nella storia. «Sebbene la frequenza di questi cicloni non sia necessariamente aumentata con il cambiamento climatico, negli ultimi 10-15 anni abbiamo visto un’intensità maggiore che porta a cicloni più simili alle loro manifestazioni tropicali», spiega Leone Cavicchia, ricercatore del Cmcc. Anche la tempesta Boris, che a metà settembre ha scatenato il caos nell’Italia settentrionale, quando i fiumi hanno rotto gli argini e causato vaste inondazioni in Emilia-Romagna, o il devastante impatto della “gota fría” in Spagna sono in parte riconducibili a una combinazione di temperature marine superiori alla media, che portano a una maggiore evaporazione dell’acqua, e temperature dell’aria più calde, che consentono una maggiore ritenzione di umidità nell’atmosfera. «Ogni grado Celsius di aumento della temperatura atmosferica porta a un ulteriore 7% di vapore acqueo contenuto nell’atmosfera, che viene poi rilasciato sotto forma di precipitazioni», afferma Cavicchia. Nel caso di Boris, uno studio ha rivelato che in alcune regioni le precipitazioni sono state più intense del 20% rispetto a quanto sarebbero state se non ci fosse stato il cambiamento climatico.
Una minaccia altrettanto grave è l’innalzamento del Mar Mediterraneo. «Si stimano 20 centimetri in più entro i prossimi 15 anni, oltre un metro per la fine del secolo», conferma Mastrojeni. «Venti centimetri non minacciano solo città come Venezia o Alessandria d’Egitto. È acqua salata che si insinua nelle terre costiere, dove si trova la maggior parte della nostra sicurezza alimentare, e destabilizza punti fragili come i delta dei fiumi. Lo sanno bene gli agricoltori intorno al Po o al Nilo». E le piane costiere entrano in precarietà idrica anche dal lato delle montagne, che «non svolgono più la loro funzione di “water towers”, distributori regolari di acqua dolce a valle, perché private di neve e ghiacciai». Un altro meccanismo inceppato, dalle conseguenze imprevedibili.