Avvenire, 1 novembre 2024
Scienza e AI
«La letteratura è finta – è chiaro che Pinocchio non esiste, così come lo scarafaggio di Kafka – eppure dice delle verità». Si gioca sin dal sottotitolo sul concetto della “verità della finzione” il libro Letture (Vita e Pensiero, pagine 240, euro 18,00) nel quale Silvano Petrosino, docente di Antropologia filosofica all’Università Cattolica di Milano, raccoglie i saggi dedicati in un ventennio a scrittori come Céline, Collodi, Conrad, France, Joyce, Kafka, Manzoni, Milton, Singer, David Foster Wallace e Yourcenar. Un libro che prosegue una riflessione iniziata con Contro la cultura. La letteratura, per fortuna (2017) e Le fiabe non raccontano favole. Una difesa dell’esperienza (2023), pubblicati sempre da Vita e pensiero.
Qual è il filo rosso che collega tutti questi autori?
«Da non letterato, il mio interesse riguarda la distinzione, per me fondamentale, tra vita e vissuto umano. Questo secondo è fatto di paure ed esperienze belle, desideri, sensi di colpa e altro. Ed emerge con chiarezza in tutti questi autori, come anche nella Bibbia, nella tragedia greca o in Shakespeare. Viene alla luce una visione non edulcorata e non menzognera dell’esperienza umana, aiutandoci a comprenderla».
Perché ce n’è bisogno?
«Perché l’immagine di uomo che circola nei dibattiti televisivi, o in quello sull’intelligenza artificiale, è banale, finta, ridicola. È un uomo che non ha dubbi, incertezze, debolezze. Per questo ai miei occhi Céline è grandioso. Il suo tema è quello dell’allucinazione, non il realismo. Ma la dimensione che lui chiama allucinata è investita, secondo un’espressione di Ernst Cassirer che io uso spesso, dall’“aggrovigliata trama dell’umana esperienza”».
“Narrazione” è parola che, dopo il crollo delle “grandi narrazioni” ideologiche si è un po’ svalutata, pare sinonimo di propaganda se non proprio di falsificazione.
«In italiano “raccontare storie” indica la narrazione che fai a tuo figlio che ti chiede “papà quando hai conosciuto la mamma?”, ma significa anche “dire bugie”. Non se ne esce, il logos umano è un logos narrativo. L’esperienza umana si esprime nella narrazione, che chiaramente può essere anche il luogo della menzogna. Per questo ho scelto quel sottotitolo: la finzione è finzione, ma la vera finzione dice la verità».
Sempre?
«Soprattutto nei grandi autori. Pinocchio è un capolavoro assoluto, perché nella storia del burattino troviamo moltissimi elementi dell’esperienza umana. Come quello del “diventare” – padre, figlio, uomo – e quello dell’annullamento del tempo».
Altro che favoletta. Molti autori letterari sono sempre più considerati come portatori di un “pensiero poetante”, pensiamo – per citarne solo alcuni – a Leopardi, Dostoevskji e Kafka. Quale verità ci dicono?
«La verità del vissuto. Insisto su questo. La scienza studia la vita, pensiamo alla biologia. Il dietologo, per fare un esempio, studia le calorie che ci sono in una lasagna. Ma la nostra esperienza è quella della lasagna della mamma. Non c’è solo l’elemento dietetico, ce n’è uno legato all’infanzia, alla memoria. È la madeleine di Proust. Dobbiamo tenere insieme le due cose: utilizzare il dietologo, ma anche leggere Proust. Mentre oggi, soprattutto per i progressi della scienza, c’è in atto il tentativo di trascurare la narrazione e ridurla a un passatempo nobile. Ci sono la scienza, l’intelligenza artificiale, l’economia. Poi alla sera ti leggi Leopardi. Non è così. Perché l’arte, la letteratura, manifesta alcune verità e perché l’“aggrovigliata trama dell’umana esperienza” ha bisogno di un mezzo adeguato».
Torniamo a Pinocchio. Lei evidenzia, guardando al Paese dei balocchi, la “distruzione della storia”. Viviamo in un eterno presente?
«È così. Pensiamo alla pubblicità che ci dice: life is now. Certo, è vero, la vita è ora. Ma l’esperienza non è ora, è sempre legata alla memoria e alla speranza. Qui c’è tutto il discorso apocalittico delle religioni. L’Apocalisse di Giovanni, anche per un non credente, non è la fantasia di un matto. Il tempo umano è la storia, dimensione importantissima anche nella vita quotidiana. Pinocchio vede che Lucignolo, che poi è Lucifero, ha ragione quando dice “vieni nel Paese dei balocchi dove è sempre domenica”. Si gioca, non si lavora. Ma per cinque mesi. Nell’immediato c’è un godimento, una conferma, un momento di euforia: life is now. C’è il consumismo. “È un affarone, telefona ora, compra ora”, dice l’imbonitore in tv. Tutto questo si collega al grandissimo tema dell’idolo, che ha gli occhi ma non vede. Per un po’ l’idolo funziona, ma poi crolla, non resiste nel tempo».
L’imbonitore richiama il gatto e la volpe. Lei qui inserisce una critica a una certa economia.
«Qual è la mossa dei due: far credere a Pinocchio che guadagnerà senza impegnare tempo e senza il “crederci”. Il tema della libertà e della responsabilità è il tema della fede. Se uno apre un ristornate deve credere nell’impresa, il successo non è automatico. L’agricoltore, per riferirsi all’attività di piantare il denaro che viene proposta a Pinocchio, sa che non raccoglierà domani. Servono tempo, cura e bisogna crederci. Il gatto e la volpe agiscono come Satana quando tenta Cristo: trasforma le pietre in pane, subito. L’uomo ha trasformato le pietre, la terra, in pane, ma con l’agricoltura, con il lavoro, che non è l’automatico, il magico».
Oggi alcuni romanzieri mettono in atto una narrazione tra il diaristico e il cronachistico. Lei in un capitolo sviluppa l’ìmpossibilità di narrare la vita altrui, parlando di Yourcenar.
« Memorie di Adriano è un altro capolavoro. Yourcenar non scrive una biografia, che riguarda la vita. Scrive le memorie, che riguardano il vissuto. E scrivere le memorie di un altro è impossibile. La grandezza della scrittura letteraria è che permette l’impossibile. Ad esempio, immaginare il gusto del cibo che aveva Adriano in un’epoca diversa dalla nostra, quando non c’erano, per dire, pomodori e patate. O pensiamo al fatto che Adriano parla in un’epoca in cui non c’era ancora tutto l’universo simbolico forgiato dal cristianesimo, nel quale noi siamo immersi. La grande scrittrice con la finzione riesce in questo gioco di prestigio. Per scrivere, così si esprime lei, servono erudizione e magia».
Un’opera che l’ha particolarmente colpita?
«Il racconto breve Taibele e il suo demone di Isaac Bashevis Singer. Un burlone del paese si finge un dèmone per sedurre una donna sola. Lei, credendolo un dèmone, ne ha paura. Pian piano, però, se ne innamora davvero. Il burlone muore e lei si dispiace del fatto che il dèmone non sia andato a visitarla di notte. Uscendo di casa, poi, incrocia un funerale e, ignara dell’identità del morto, si impietosisce per il fatto che non ci sia nessuno dietro la bara. Così decide di seguirla lei. Bellissimo. Un colpo di genio di Singer. È tutto un gioco tra finzione e realtà. Il dèmone è finto, ma l’amore è vero».