il Fatto Quotidiano, 1 novembre 2024
I russi sfondano a Selydove
La bandiera russa sventola su uno dei tetti degli edifici della città, circondato da rovine. L’immagine in alto a destra ha lo stemma del ministero della Difesa russa che l’ha diffusa per rivendicare la presa di Selydove, caduta in mano all’esercito di Mosca due giorni fa.
La cittadina, che contava 20 mila abitanti prima del conflitto, dove c’era una delle ultime miniere di carbone della regione che Kiev ancora controllava, è lontana solo 18 chilometri dal lato meridionale di Pokrovsk: i russi sono vicinissimi allo snodo logistico delle truppe ucraine, dopo aver inglobato nell’offensiva anche gli insediamenti di Bogoyavlenka e Katerynivka.
Pokrovsk, nelle mire russe, è prossima e lo Stato maggiore di Kiev dispone preparativi e fortificazioni col nemico già alle porte. Ieri non è stata risparmiata nemmeno Kharkiv, che ha subito il 19° attacco del mese: per le bombe che hanno colpito un condominio è morto un ragazzino di 12 anni, 29 persone sono rimaste ferite. Nella regione di Odessa i missili hanno puntato contro il ponte del Dniester; droni russi, poi abbattuti, erano in volo nei cieli di nove regioni ucraine.
La capacità di combattimento dei soldati russi diminuisce nello sforzo dell’avanzata, che però non si arresta. Secondo lo statunitense Institute for the Study of War, Mosca ha conquistato 478 chilometri quadrati dall’inizio di ottobre: una fascia di territorio così ampia da segnare un altro nuovo record da quando la guerra è iniziata ormai quasi tre anni fa. E dopo la ratifica alla Duma del Trattato di partenariato strategico globale per assicurarsi reciproca assistenza militare in caso d’attacco, Mosca può contare anche sulle risorse della Corea del Nord: diecimila soldati di Pyongyang sono nella Federazione e il loro dispiegamento nella regione di Kursk è imminente.
Per l’intelligence sudcoreana però gli alti gradi dell’esercito nordcoreano sarebbero già al fronte ucraino. Assistendo all’escalation del conflitto e al suo allargamento – e all’intervento della sempre più incontrollabile Pyongyang – Pechino tace. Intanto in patria Kim Jong-un illumina il cielo col fuoco, col volo più lungo mai registrato nella storia della Nord Corea.
Per 86 minuti, a un’altezza elevatissima di 7 mila chilometri prima di cadere nelle acque al largo della costa orientale – a circa 300 chilometri a ovest dell’isola giapponese di Okushiri, al largo di Hokkaido – ieri l’esercito nordcoreano ha lanciato un missile balistico intercontinentale che, secondo il ministero della Difesa giapponese, è “diverso da quelli convenzionali”. Secondo gli esperti è più potente, forse migliorato dall’assistenza dell’alleato russo. L’ultimo razzo intercontinentale lanciato a dicembre 2023 aveva volato solo 73 minuti per mille chilometri, violando, proprio come ieri, le linee rosse delle Nazioni Unite. E anche ieri Washington ha avvertito che questo volo è una “flagrante violazione di molteplici risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu”.
Per il leader dello Stato più isolato del mondo, che vuole rivendicare, all’alba delle elezioni americane, il suo posto sulla scena invece è “un’azione militare appropriata”.
Che Pyongyang stesse per testare un razzo capace di colpire gli Stati Uniti lo aveva capito già Seul due giorni fa, che ora valuta di combattere a distanza il nemico che in Ucraina ha già spedito le sue truppe. La Corea del Sud, infatti, vuole rifornire l’esercito ucraino con i missili terra aria Hawk (gittata di 40 chilometri), armamenti di riserva che nei suoi arsenali sono stati sostituiti con i più moderni Cheongung. Della risposta “non adeguata” degli alleati occidentali dell’Ucraina al coinvolgimento delle truppe nordcoreane nella guerra in Ucraina, si è lamentato ieri il presidente Volodymyr Zelensky in un’intervista. “Penso che la reazione a questo sia stata nulla, è stata zero”, ha affermato Zelensky nell’intervista con i media sudcoreani, in cui ha anche affermato di essere stato “sorpreso dal silenzio della Cina” sui crescenti legami di Pyongyang con Mosca.