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 2024  novembre 01 Venerdì calendario

Mercalli commenta la tragedia di Valencia


Mercalli: il mare troppo caldo genera i colpi di frusta meteo

«C’è stata una perturbazione molto intensa associata a temporali stazionari. Si tratta di temporali che durano molte ore e che insistono sullo stesso territorio, generando così una quantità di pioggia molto rilevante. Il temporale classico dura un’ora, poi si esaurisce. Se però questa durata si allunga a dieci ore è ovvio che le quantità si moltiplicano e assumono valori distruttivi. In questo caso sono caduti fino a 490 mm di pioggia in un pomeriggio». 
Luca Mercalli, climatologo e divulgatore scientifico che da anni dedica la sua attività proprio all’impatto delle trasformazioni climatiche sull’ambiente, sulle nostre città, spiega così la tragedia di Valencia.
Perché questi temporali durano dieci ore invece che un’ora? 
Tutto il Mediterraneo è esposto alle stesse cause, insomma è un mare che a fine estate o a inizio autunno, come in questi giorni, ha tutta l’energia accumulata nel corso dell’estate. Un’energia sempre maggiore visto che è diventato veramente un mare molto caldo: in estate aveva una temperatura di 30 gradi, ora siamo attorno ai 22. Insomma, un serbatoio enorme di energia disponibile per formare questo genere di perturbazioni, anche perché oltre al calore c’è anche l’umidità, c’è anche l’evaporazione. 
Ma non è possibile prevedere dove avvengono questi fenomeni? 
Le previsioni sono sempre difficili. Possiamo cioè sapere se ci saranno le condizioni per una pioggia molto intensa, ma come questa poi reagisce a livello del suolo è una somma di fatti che non c’entrano più niente con la meteorologia, c’entrano con l’urbanistica, c’entrano con le abitudini delle persone. Fra l’altro in questo caso sembra che l’allerta sia arrivata in ritardo. 
È vero che secondo il trend storico, questi eventi si stanno intensificando?
I grafici relativi sia all’Italia che al mondo ci dicono che tutto è cominciato in modo deciso e continuo a partire dagli Anni ’90, invece il segnale di frequenza degli eventi di forza estrema è più recente, risale agli ultimi dieci anni. Ne abbiamo avuto la conferma con la Romagna: quattro alluvioni gravi in un anno e mezzo, non una ogni 50 anni. Questo è proprio un segnale dell’incremento della frequenza. 
Precipitazioni sempre più violente e siccità lunghissime…
Al Nord il 2022 è stato più secco degli ultimi 200 anni, poi improvvisamente, il 23 maggio l’alluvione in Romagna. Si chiama proprio il fenomeno dei colpi di frusta meteorologici.
Questo è il prezzo che paghiamo per aver trascurato 50 anni di avvertimenti.
Le cose di cui parliamo erano già tutte note fin dagli Anni ’70, dopo la grande alluvione di Firenze del ’66. L’allora Commissione De Marchi ci spiegò già allora con chiarezza che non bisognava costruire nelle aree inondabili perché se ne aumentava la vulnerabilità. Una raccomandazione rimasta inevasa per fare cassa. 
Negli anni passati si è costruito anche in zone manifestamente a rischio. 
Questa non curanza, unita oggi al cambiamento climatico ci presenta un prezzo enorme da pagare in termini di danni. Peraltro, ora è difficilissimo proteggere le nostre costruzioni. Si possono fare dei micro-interventi qua e là, intervenire sui centri storici più importanti. Possono essere l’argine, la cassa di espansione, il canale scolmatore. Avendo edificato tutto, non riusciamo a trovare luoghi per far espandere i fiumi senza fare danni. 
A ciò si aggiunge l’abitudine di ricostruire tutto come era prima. 
Invece bisogna avere il coraggio di dire che alcune aree si abbandonano. Si trovi un modo tra assicurazioni e interventi dello Stato di indennizzare le persone che vi abitavano ma si deve avere il coraggio di dire che queste aree le abbandoniamo. Lasciamo solo le attività agricole dove il danno è tollerabile. In queste aree, se dovesse verificarsi un’emergenza, le conseguenze per quanto devastanti possono essere ammortizzate con una copertura assicurativa. Dove c’è infrastruttura, oltre alle vite umane, i costi lievitano in modo insostenibile.