Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  novembre 01 Venerdì calendario

Il contadino che scoprì l’esercito di terracotta

È l’unico contadino sulla faccia della terra ad aver stretto le mani di così tanti leader mondiali. È il primo cinese ad esser diventato firmatore di autografi di professione. È l’uomo che cinquant’anni fa, uscito di casa per andare a cercare nei campi un po’ d’acqua assieme ai compagni, con una vanga, scavando, trovò invece “l’ottava meraviglia del mondo”.A 88 anni Yang Zhifa ci viene incontro, sull’uscio della sua casa ad una quarantina di chilometri da Xi’an che oggi è una specie di strano museo, alto, sguardo vispo, stretta di mano energica, sigaro in bocca. «Li faccio io questi, sa?» dice con un pizzico di orgoglio. L’orgoglio più grande per Yang non sono questi sigari talmente forti da farti quasi soffocare, ma aver scoperto, per caso, nel marzo del 1974 il primo dei soldati di terracotta dell’invincibile e magnifica armata di Qin Shi Huang, primo imperatore della Cina. Un esercito che oggi è patrimonio dell’umanità e che da mezzo secolo possiamo ammirare. Anche grazie a lui. Nonostante, di lui, oggi sembrano essersi dimenticati in molti. Benedetti guerrieri, maledetti guerrieri.Seduto alla scrivania con una grande foto alle spalle appesa al muro dell’incontro che ebbe con l’ex presidente statunitense Bill Clinton nel 1998, Yang inizia a raccontare la sua storia, infarcita da lunghe pause e dal dialetto locale. Non cadeva una goccia d’acqua quella primavera, la siccità minacciava i raccolti in questi che allora erano solo dei semplici campi ai piedi del Monte Lishan. «Organizzavamo delle squadre per scavare dei pozzi. Io e altri due andammo nella parte più a sud-est del nostro villaggio, dove il terreno era un po’ basso e, pensavo,forse lì sarebbe stato più facile accedere all’acqua. Stava per finire il turno, verso mezzogiorno, e chiesi ai miei superiori che mi lasciassero scavare ancora un po’ in quel punto dove la terra si faceva più rossa e dura».Yang colpisce qualcosa. «Pensavamo fosse una fornace per mattoni. Ma mi resi conto che era invece qualcosa di diverso: magari una figura di una divinità. Poi vidi frecce, punte di lancia e pensai “no, non è nemmeno un tempio”: ero nell’esercito prima di fare il contadino, sapevo riconoscere le armi». Quello che Yang aveva colpito era il collo di un soldato di terracotta, senza testa, ritrovata poi poco più in là. La vanga se ne sta ora appesa alla parete del suo salotto, avvolta in un morbido panno di seta rosso.«Chiesi ad alcune donne di venire con tre carri». Fu la moglie di Yang, maestra elementare, quella sera, a capire che si trattava di qualcosa di speciale. E a chiedere al marito di consegnare quello che aveva trovato all’Ufficio delle reliquie culturali della contea. «Potrebbe essere una statuetta di terracotta della dinastia Qin», mi dissero. «È utile?»chiesi. Mirisposero: «Vale un sacco di soldi!». «Datemi quello che pensate che valga», dissi. «Un carrello 10 yuan, tre carrelli 30, e mi hanno dato un assegno, la mia squadra di produzione ha ricevuto i soldi. A me hanno dato 5 buoni, ognuno valeva mezza giornata di lavoro». Nel grande complesso preso d’assalto ogni giorno da quasi 60 mila visitatori – dove è da poco stata inaugurata una nuova mostra sui 50 anni dell’esercito con 230 pezzi esposti, molti per la prima volta – il cartello dove avvenne il primo ritrovamento se ne sta lì, nella “fossa numero 1”. La guida ci spiega che fu Yang a fare la scoperta. E però oggi il museo Yang lo ha messo in disparte. Per sedici anni venne ingaggiato per firmare autografi sui libri in vendita nel negozio di souvenir. «Lavoratore temporaneo, 300 yuan al mese (38 euro, ndr)». Poi basta, nemmeno per questo cinquantesimo anniversario Yang è stato invitato. Si vede che non ne parla volentieri, che ci è rimasto male. «Un contadino rimane un contadino», ripete con un sorrisetto sarcastico, sospirando. «Ma il mio cuore è felice». Dal tesoro della dinastia Qin tutti ci hanno guadagnato. O quasi. I contadini che scavarono persero le loro terre: case distrutte per far posto a grandi padiglioni espositivi, parcheggi e negozi di paccottiglie. Alcuni di loro morirono presto, poveri e malati. Altri come Yang, usati per firmare libri e per foto di rito con personaggi famosi. Yang, oggi, in questa stramba dimora, assieme all’aiuto del figlio organizza sessioni di livestreaming molto seguite per vendere libri autografati e racimolare qualche soldo. Benedetti guerrieri, maledetti guerrieri. Fu l’archeologo Zhao Kangming, quasi un mese dopo il colpo di vanga di Yang, ad arrivare sul posto e a rendersi conto di quale tesoro incredibile si trattasse. Fu grazie a lui che si avviarono gli scavi.Ma senza quel colpo di fortuna di Yang forse nessuno li avrebbe mai trovati.Negli anni durante i quali regnò sulla Cina che per primo aveva saputo unificare, Qin Shi Huang è sempre stato ossessionato dalla vita eterna: ansioso di estendere il suo potere terreno anche nell’aldilà. Per questo decise di farsi costruire nella vecchia capitale Xi’an un imponente mausoleo affidandone la difesa non a guerrieri mortali ma ad un gigantesco esercito di 8mila soldati di terracotta con armi, cavalli e carrozze.Mezzo secolo dopo si continuano a portare alla luce altri misteriosi soldati. «Ogni anno scaviamo circa 10 o 20 metri quadrati», ci racconta Zhou Ping, vicedirettrice del mausoleo. «Nella Fossa 1 ci sono molti altri tipi di reperti: armi, semplici oggetti metallici. Ma la tomba dell’imperatore no, quella non si scava: dobbiamo avere rispetto per i nostri antenati. Facendo ricerche sui reperti trovati si può già avere una comprensione della politica, dell’economia, della cultura e degli sviluppi tecnologici di quella dinastia». Perché i guerrieri affascinano tanto ancora oggi? «Perché sono una specie di miracolo. Nessuno aveva mai concepito una cosa simile. Pensi ad esempio anche alle redini dei cavalli che trainano le carrozze di bronzo: la tecnica è molto simile a quella dei cinturini dei moderni orologi svizzeri. Solo che i Qin lo hanno fatto duemila anni prima».