la Repubblica, 1 novembre 2024
Monete nella piscinetta, l’ultimo souvenir kitsch dalla Fontana di Trevi
La parte per il tutto: in un polveroso manuale di retorica, la parola in questione sarebbe forse “sineddoche”. Ecco: bisognerà, per un po’, accontentarsi di una buffa e inaspettata sineddoche – qualche litro d’acqua al posto di una fontana monumentale. Una miniatura a buon mercato, un surrogato economico. Un simulacro. Non so se c’è più ironia, più tenerezza per l’umano, più generosità per l’eterno turista o più fantasia nella scelta del Comune di Roma: installare una piccola vasca, una specie di piscina dirimpetto alla maestosa Fontana di Trevi rimasta all’asciutto per lavori di restauro. Nella corsa contro il tempo imposta dall’anno giubilare – cantieri dell’ultimo mese, affannosi restyling urbani, nervosi aggiustamenti – i dettagli dell’interregno fra il non-più e il non-ancora sono quelli più romanzeschi. Prendete per esempio le celebri statue del Pincio: i busti dei valorosi appaiono al momento incellofanati; e hanno l’aria di marmi in apnea, a metà fra provocazione artistica e atto punitivo, eccentrico gesto di cancel culture che mette a tacere una buona volta quella pletora di maschi tronfi.Pazientate, romani e turisti, proprio come pazientano le statue immobili sul colle. Il traffico congestionato qua e là, le transenne, le passerelle, i palazzi e i monumenti incartati: no, non è facile, però abbiate fede, a un certo punto tutto sarà come prima, anzi meglio. Però intanto, se mai aveste monetine da lanciare, bisognerà accontentarsi di quello specchietto d’acqua piazzato davanti al travertino e ai marmi disidratati. Il colpo d’occhio sembra un Fellini-Sorrentino distopico, o una clip di “Siccità” di Paolo Virzì.I turisti se la ridono, attoniti per lo stupore, divertiti dall’occasione alternativa, concentrati a fare centro nell’area liquida contingentata. Potranno raccontare ai nipoti l’esperienza del lungo viaggio, l’arrivo inderogabile presso il sito scenografico, la scoperta della tinozza, anzi della (siamo a Roma) bagnarola. Per dimessa che sia, non scoraggia comunque il lancio scaramantico – che, a dire il vero, senza la calamitante piscina, avrebbe determinato un’anarchica dispersione di monete sui sampietrini. I deputati alla raccolta hanno comunque un gran daffare, perché prendere la mira di spalle non è da tutti. E comunque non c’è restauro o divieto temporaneo che tenga, il rito è rito anche in versione ridotta; e questo ci dice la piscina di Trevi: interdetta, fino a prova contraria, ai natanti emuli di Anita Ekberg, quelli che ogni estate azzardano il tuffo, si offre invece ai viaggiatori sognatori, agli irriducibili in cerca della buona sorte. O di un ritorno nel cuore della Grande – faticosa – Bellezza. Gratis ancora per un po’: più avanti chissà. Finiti i lavori pare arriverà il numero chiuso e forse un biglietto. Un piccolo contributo aggiunto all’euro o al dollaro propiziatorio. «Come se fosse una proprietà privata», ha scritto Marco Belpoliti su queste pagine qualche settimana fa. E in effetti fa strano, quasi quanto l’idea – avanzata a suo tempo da Virginia Raggi – di una passerella a sost a limitata: uno sguardo e via andare, trenta secondi a testa, non uno di più. Il conteggio dello stupore, l’imbrigliamento della contemplazione: a folle estreme, estremi rimedi. I Totò di domani venderanno non l’intera fontana, ma pacchetti di minuti supplementari.Intanto godiamoci la piscina di Trevi, giusta per quest’epoca che non sogna in grande. Un po’ cheap, un po’ kitsch, o simpaticamente cafona, come la definiscono i sarcastici in servizio permanente sui social. A ogni modo, addita lo scarto fra l’enfasi del Tardo Barocco su cui campiamo di rendita e il post-postmoderno; fra la meraviglia a pieno regime e quella in minore, da boule un po’ scassata.Il brutto souvenir del Bello originale, in attesa di restauro, uno accanto all’altro.