la Repubblica, 1 novembre 2024
La mappa delle stragi climatiche
È colpa della crisi climatica? La domanda rimbalza da ore. Da quando le immagini della devastazione a Valencia e dintorni hanno iniziato a fare il giro del mondo. Ma il quesito è ormai ricorrente: dopo ogni uragano, tempesta, mareggiata, tifone, ondata di calore o di siccità, ci si chiede se sia sempre successo, e semplicemente la memoria individuale sia troppo corta. O se invece si stia assistendo a qualcosa di mai visto, conseguenza del riscaldamento globale. Per rispondere, nel 2015 due climatologi, Friederike Otto e Geert Jan van Oldenborgh (scomparso nel 2021) fondarono Word Weather Attribution (Wwa): un team di scienziati delle più prestigiose istituzioni internazionali, dall’Imperial College di Londra al Reale Istituto Meteorologico Olandese: esaminano gli eventi meteo estremi e pubblicano studi che li mettono in relazione all’aumento di gas serra nell’atmosfera e al conseguente innalzamento delle temperature.È troppo presto perché si pronuncino sulla Dana che ha investito la Spagna sudorientale. Ma proprio mentre imperversava, il Wwa ha pubblicato un nuovo report, secondo cui il riscaldamento globale, riconducibile alle attività umane, ha reso più probabili e intensi i 10 peggiori disastri meteorologici degli ultimi vent’anni.«Il loro è un esercizio statistico», spiega Giulio Boccaletti, direttore scientifico del Centro euromediterraneo sui cambianti climatici e autore di “Acqua”, biografia che nel 2021Economist giudicò tra i migliori saggi dell’anno. «Si usano i modelli matematici che pensiamo descrivano la realtà, si elimina la perturbazione introdotta dalle attività umane con i gas serra e si vede il risultato».I ricercatori guidati da Friederike Otto hanno passato in rassegna l’ International Disaster Database, un archivio digitale delle più recenti devastazioni prodotte da piogge, caldo e inondazioni, e hanno scelto i 10 eventi più gravi dal 2004 a oggi, con un bilancio complessivo di 570 mila vittime. Tra i fenomeni presi in considerazione, quello più letale è l’ondata di siccità che nel 2011 colpì la Somalia, provocando più di 250 mila vittime: secondo i ricercatori del Wwa fu il cambiamento climatico a rendere più probabili e più estreme le scarse precipitazioni dell’epoca.Questa analisi retrospettiva è giunta alle stesse conclusioni pertutti gli eventi considerati: l’ondata di calore che nel 2015 provocò più di 3.000 decessi in Francia, i cicloni tropicali che hanno investito il Bangladesh nel 2007, Myanmar nel 2008 e le Filippine nel 2013, l’alluvione in India nel 2013, il caldo record in Europa nel 2022 (53 mila morti) e nel 2023 (37 mila vittime).Ma, come detto, il Wwa non si limita a spulciare gli archivi, agisce quasi in tempo reale. Florida e Carolina del Nord si leccavano ancora le ferite dopo i passaggi di Helene e Milton, che già il Wwa sfornava le sue analisi: «Gli uragani di intensità pari a quella dell’uragano Helene sono oggi circa 2,5 volte più probabili in quella regione», scrivevano i ricercatori il 9 ottobre. Ancora: «Il cambiamento climatico ha fatto crescere dell’11% (21 km/h) la velocità del ventoe del 10% le precipitazioni di Helene». Poi un nuovo studio: «Il cambiamentoclimatico ha reso la forza dell’uragano Milton due volte più probabile e le sue precipitazioni circa il20-30% più intense».«Questi studi dovrebbero aprire gli occhi ai leader politici che si aggrappano ai combustibili fossili», ha commento Friederike Otto. «Se insistiamo con petrolio, gas e carbone, la sofferenza continuerà». «Dobbiamo evitare di far andare le cose ancora peggio nei prossimi decenni e quindi smettere di emettere gas serra», conferma Boccaletti. «Ma la risposta non può essere solo questa. La politica deve anche assumersi la responsabilità di intervenire sui territori per offrire, già oggi, sicurezza ai propri cittadini».