Corriere della Sera, 1 novembre 2024
A Milano chiude il Diana Majestic
Altra storia di Milano che se ne va. Almeno per ora. Poi si vedrà. Forse. Una storia sociale, architettonica, culturale, di costume, anche antropologica: dall’estate, nell’hotel «Sheraton Diana Majestic» di viale Piave – «Kursaal Diana» il nome ufficiale dell’immobile, al civico 42 dove la strada devia verso piazza Oberdan in una delle più fascinose curve cittadine – non ci saranno camere libere. L’albergo chiude avendo deciso la proprietà dell’edificio, del 1908, di non rinnovare la gestione alla catena di hotel «Marriott International», colosso del settore (in Italia sessanta alberghi compresi i più iconici dal «The St. Regis Hotels»al «The Gritti Palace» a Venezia).
I cinquanta dipendenti dello «Sheraton Diana Majestic» dovranno trovare un’altra occupazione. Padrona del palazzo è una società immobiliare milanese: considerando il prestigio geografico e l’anima architettonica del medesimo stabile arricchito negli anni da opere d’arte della Galleria Marconi come i quadri di Tadini e Adami, ogni possibile futuro può venir contemplato. In quartiere si vocifera di un nuovo albergo oppure di una location di marchi della moda; del resto noti stilisti hanno qui ambientato sfilate. Più di tutti, il sindacato della Cisl da mesi cerca di mediare pensando alla ricollocazione del personale. Sembra che dietro la decisione dei proprietari vi sia la volontà d’una forte rinnovazione specie degli interni, che in verità hanno già perso parecchi elementi dell’originale Liberty. Il Corriere ha domandato conto a «Marriott International». La risposta: «Ringraziamo di cuore per il loro prezioso lavoro tutti i dipendenti dell’hotel, che nel corso degli anni hanno accolto e continuano ad accogliere gli ospiti e i soci provenienti da tutto il mondo. Marriott si è già attivata a porre in essere tutte le azioni di legge e di confronto con le organizzazioni sindacali per assistere e accompagnare i dipendenti, i clienti e i partner della struttura in questa transizione».
Abbiamo in precedenza menzionato l’anno 1908 ma trattasi d’una data errata: prima dell’hotel c’erano i bagni «Kursaal Diana» voluti dagli austriaci a metà Ottocento, un rifugio di campagna qual era allora l’odierna Porta Venezia, piscine circondate da platani e alti trampolini. Dopodiché si sa, le vicende umane son cicliche: a qualche palazzinaro appoggiato dai politici venne l’idea di guadagnarci sopra, su quest’area per nulla urbanizzata, sicché via con la speculazione. Stabili, negozi, appunto alberghi: lo «Sheraton Diana Majestic» iniziò a caratterizzarsi per ospitale punto d’accoglienza subito prediligendo le fasce alte, la mondanità, la gente del teatro, letterati, clero; v’erano telefoni in ogni camera da letto, un raffinato ristorante, un giardino da rivista; fra strategie e alleanze, molta quotidianità di Milano davvero s’ambientava nell’albergo. Inevitabile che fosse anche un luogo protetto, di sicurezza.
Eppure nessuno e nulla impedirono, il 23 marzo 1921, quello che alcuni storici inquadrano come l’esordio della cosiddetta «strategia della tensione», come la prima manifestazione del classico e nostrano «mistero irrisolto» su cui ci si interroga invano. Ovvero la strage che provocò ventuno morti dilaniati da un attentato dinamitardo che venne attribuito ai gruppi anarchici i quali avevano voluto – avrebbero voluto – eliminare il questore Giovanni Gasti, di stanza al «Kursaal Diana». Uno degli immediati soggetti a piombare sulla scena del crimine fu Benito Mussolini: una fulminea indegna ondata squadrista impattò nei giorni successivi contro i medesimi anarchici nonché, al solito in ordine sparso e indiscriminato, contro socialisti e comunisti. Delle indagini si occupò in persona il questore Gasti, il quale per la cronaca nell’albergo aveva frequenti serate di conversazione con il futuro dittatore; l’iter investigativo-giudiziario fu un seguirsi di testimoni spariti o protetti, teoremi non sorretti dai fatti, veri colpevoli che forse rimasero in libertà.