Corriere della Sera, 1 novembre 2024
Nostalgia 90
«È una serata dove vestirsi in stile anni 90, tu hai qualcosa?».
Quando mia moglie mi ha detto il tema della festa, ho capito che qualcosa è cambiato.
A lei ho dato una felpa Johnny Lambs (ispirato a Gianni Agnelli), che non avevo mai avuto il coraggio di mettere, e io mi sono rifugiato nel mix di Adidas, Fruit of the Loom e Levi’s per affrontare ventenni e trentenni vestiti come i miei amici e le mie amiche di 30 anni fa, che cantavano al karaoke le canzoni dei miei anni, come Hanno ucciso l’uomo ragno degli 883, uscita nel 1992, l’anno di Mani pulite, delle stragi di Mafia, del karaoke… Avevo 13 anni, nel 1992, mia moglie nasceva, come le sue amiche e l’attuale attaccante del Milan, Alvaro Morata.
Il revival l’avevo già vissuto nel 2014 lavorando con Errico Buonanno e Matteo Benedetti alla webserie I ragazzi degli anni 90 di Corriere.it e poi al saggio Notti magiche. Atlante sentimentale degli ani 90 (Utet), ma la festa a tema – dove io ero in tema, ma da reduce – suggeriva altro. Come la febbre per la serie tv Hanno ucciso l’uomo ragno che spopola sui social, ambienti naturali per i nativi digitali.
È nostalgia poli-generazionale.
Me lo conferma il figlio di un collega che vedendo le scarpe Nike Air Jordan nella serie ha detto: «Papà, avete le nostre stesse scarpe». E pure Enrico Brizzi, incontrato per il settimanale 7 su Due (Harper Collins), il sequel di Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Mentre lui è concentrato sulla reunion degli Oasis, ha scoperto che il padre ha portato la madre a un concerto di Max Pezzali.
Siamo oltre la teoria di Vico, viviamo nel «supermercato della memoria», offerto dai nuovi strumenti tecnologici di archiviazione, che rendono fruibile e disponibile sincronicamente tutto il passato. Ne ha scritto Lucrezia Ercoli in Yesterday. Filosofia della nostalgia (Ponte alle grazie).
«Retro-topia» l’ha chiamata Zygmunt Bauman, perché re-immaginare il passato è più facile che inventare il futuro. Altri parlano di «anemoia», la nostalgia per le cose non vissute, quella che negli anni 90 ci faceva impazzire per il vinile Anni 70, che oggi trionfa, rispetto ai successi CD e musicassette.
Il punto non è la nostalgia filatelica del francobollo che celebra i Pokémon, ma il clic del cellulare quando scattiamo una foto. Tutti, boomer o gen-z.
Fateci caso, fa il rumore di un tasto fantasma, da macchina fotografica analogica.
Gli anni 90 sono l’ultima frontiera della nostalgia nella sua versione più umana. L’ultimo decennio del Novecento, secolo breve tra guerre calde e fredde, è stata l’ultima epoca nazionalpopolare, con l’immaginario collettivo imposto dalla comunicazione di massa, l’ultima stagione analogica, quando il tempo era un fiume di eventi che non potevi raccontare live, come si fa oggi, né accumulare nella somma senza fine di attimi immortalati, in migliaia di foto e video, che la nostra mente non ha la capacità di processare, dunque elaborare, vivere nel profondo. Nei cellulari abbiamo più foto che ricordi, più ricordi che emozioni, più memoria che fantasia, scoppiano di dati che dobbiamo far migrare sulle nuvole di cloud satellitari, anche se poi sono ancorati a enormi e dispendiosi server sotto-terra o sotto i mari.
Nel mondo sembra non esserci spazio fisico per la nostalgia, non c’è il vuoto necessario, il tempo perduto cui tornare con la mente, anche se non lo si è vissuto. Rispetto alla vertigine digitale, la nostalgia per gli anni 90, gli ultimi analogici, è quasi una categoria dello spirito umano.